Modificare la possibilità di accesso all’aborto farmacologico rivedendo le linee guida ministeriali: la Giunta regionale delle Marche mette nel mirino l’interruzione volontaria di gravidanza. E annuncia un passo indietro sulla Legge 194, per mano di Giorgia Latini, unica donna in Giunta e per altro assessore alle Pari Opportunità.
Latini torna infatti sull’argomento nella seduta consiliare del 15 dicembre, incalzata dalla prima interpellanza della legislatura marchigiana, presentata da Manuela Bora (Pd), con cui l’opposizione ha chiesto conto dell’applicazione della legge statale 194 del 1978 sul territorio regionale – in merito a informazione, consultori, medici obiettori e pillola RU486 – richiamando l’assessora alla sua intervista al TG3 Marche di inizio mese, in cui dichiarava di “intendere porre all’Odg della Giunta Regionale una revisione della possibilità di accesso alla pillola abortiva”, la RU486, su modello della giunta umbra che ha abolito il day-hospital per l’aborto con metodo farmacologico.
L’assessora alle Pari Opportunità parla di opinioni personali, bollando le polemiche come strumentali, ma poi ribadisce l’impegno della giunta: “Avvieremo una verifica di compatibilità delle linee guide del Ministero della Salute con la Legge 194, perché riteniamo che i consultori debbano essere luoghi di assistenza e approfondimento e non di esecuzione dell’interruzione di gravidanza, che come previsto dalla Legge stessa deve rimanere in ambito ospedaliero dove le modalità di ricovero saranno demandate alla valutazione del medico e della direzione sanitaria”. Le linee di indirizzo sull’aborto farmacologico promulgate dal ministero della Salute il 4 agosto scorso, rendono infatti possibile interrompere una gravidanza con i farmaci, Ru486 e prostaglandine, fino alla nona settimana di gestazione, in ospedale in day hospital o in consultori e ambulatori adeguatamente attrezzati.
Interviene anche l’altro assessore in quota Lega, Filippo Saltamartini, che inquadra la questione citando filosofi e papi. Per l’assessore alla Sanità infatti è “impreteribile non valutare che ogni forma di vita ha una dignità nel nostro sistema (…) fin dal concepimento riveste un elemento straordinariamente di differenziazione tra le civiltà occidentali e quelle di altri Paesi e in particolare nel nostro Paese proprio per la somiglianza del genere umano alla Divinità”. Saltamartini fa riferimento al dato nazionale, da lui stesso riportato, per cui un terzo delle interruzioni volontarie di gravidanza in Italia è riferibile a donne straniere. Quindi invoca il potenziamento dei consultori nella loro funzione di prevenzione e spiega la distribuzione degli aborti sul territorio regionale, sostenendo come il metodo farmacologico sia un’opzione praticabile esclusivamente a Urbino, Senigallia e San Benedetto del Tronto.
Nel 2019 sono state 1.450 le interruzioni volontarie di gravidanze avvenute nelle Marche, erano 1.537 nel 2018. In una Regione dove il 69,3% dei medici è obiettore di coscienza e dove il ricorso al metodo farmacologico è fermo a una percentuale del 6% – la media nazionale è al 21% – contro il 37% della confinante Emilia-Romagna.