“Vendesi quote di rinomate aziende della mobilità a due e quattro ruote, completamente ristrutturate a livello organizzativo e produttivo. Gli stabilimenti sono ubicati nella celebre e ambita Motor Valley, in posizione “dominante” sull’Emilia, e godono dell’affetto di una fedele clientela. Si vende per sopraggiunte esigenze di razionalizzazione delle risorse, causa Covid e ingenti investimenti in elettromobilità. Piena disponibilità a qualsiasi prova su strada dei prodotti e alla verifica dei libri contabili. Chiamare ore pasti e chiedere di Herbert”.

Fra qualche mese, con alcuni tecnicismi in più (e qualche ironia in meno), potrebbe recitare così l’annuncio che porterà Ducati e Lamborghini a essere quotate sul mercato azionario se non addirittura cedute a terzi. Un’operazione che sembra poter essere la naturale conseguenza dello scorporo su cui VW sta lavorando. Lo ha confermato, indirettamente, l’amministratore delegato del gruppo Volkswagen, Herbert Diess, la multinazionale a cui attualmente appartengono i due brand.

Questa manovra farebbe parte di un piano di semplificazione delle attività aziendali della Volkswagen, decisa a sciogliersi le mani dai giocattoli del fu Ferdinand Piech per concentrarsi meglio sulla transizione all’elettromobilità e sulla produzione di massa di vetture a batteria. Infatti, era stato il “grande vecchio” della Volkswagen, venuto a mancare poco più di un anno fa, a spingere per l’acquisizione di Lamborghini prima – dal 1998 è finita sotto il controllo di Audi – e di Ducati poi, a sua volta sotto la Lamborghini nel 2012.

Operazioni portate a termine per saziare le mire di Piech, lo stesso che aveva promosso l’acquisizione di Bentley o Bugatti e persino perseguito la realizzazione di modelli dimostratisi poi commercialmente fallimentari (leggi VW Phaeton). Un modo di concepire l’industria dell’auto che andava a braccetto con una strategia di crescita teoricamente perpetua, nonché fortemente ancorata a volumi di vendita giganteschi, magari anche a fronte di margini non altrettanto lusinghieri. Poi, nel 2015, la deflagrazione del dieselgate ha cambiato i paradigmi dell’industria automotive, mettendola in corsa verso la mobilità a (presunte) emissioni zero.

Piech, da vecchia volpe, è riuscito a defilarsi appena in tempo per non essere investito dallo scandalo emissioni, di cui ha scaricato le piene responsabilità su Martin Winterkorn, ex numero uno del colosso tedesco. Tuttavia, lo scandalo emissioni ha, di fatto, decretato la fine di quel modo di fare business, non più compatibile con le sfide che oggi si trova ad affrontare il mondo dell’auto. Lo sa bene anche Carlos Tavares, il numero uno del gruppo Stellantis, che proprio poche ore fa ha lanciato un monito al settore: “Solo i più agili, con uno spirito darwiniano, sopravvivranno” alla transizione all’auto elettrica. Tradotto, significa che solo chi punta alla redditività e sarà abbastanza elastico da adattarsi ai cambiamenti di un mercato in fase di definizione potrà vedere il domani dell’automotive.

Un qualcosa che sanno bene anche a Wolfsburg dove, dopo aver speso circa 30 miliardi di euro per le questioni inerenti il dieselgate e programmato investimenti per 73 miliardi da qui al 2025 (denari che andranno in elettrificazione, ibridizzazione e digitalizzazione), puntano ora a snellire le attività, liberandosi, anche parzialmente, di quanto superfluo. Ecco quindi che Ducati (che VW aveva già provato a cedere a Harley-Davidson) e Lamborghini – pronta a riaccogliere alla sua guida Stephan Winkelmann, attualmente amministratore delegato della Bugatti, e che già aveva diretto le operazioni del Toro dal 2005 al 2016 – potrebbero essere offerte, anche parzialmente, sul mercato azionario.

Non solo, mentre Bentley (che dovrebbe finire sotto il controllo di Audi) ha già annunciato il suo piano di elettrificazione, Bugatti potrebbe essere ceduta alla croata Rimac (detenuta al 15,5% dalla Porsche). Insomma, una complessa partita a scacchi, giocata peraltro in regime di pandemia, per razionalizzare la struttura aziendale del Gruppo Volkswagen e renderlo più agile, sostenibile e redditizio. In ballo c’è la sopravvivenza dell’azienda stessa che sull’elettromobilità si gioca il suo futuro. E parte di quello della Germania stessa.

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