Amo gli eretici, i controcorrente. Quelli che Filippo la Porta definisce “maestri irregolari”. Per questo il programma su Loft di Tomaso Montanari (Eretici) assume, specie oggi in un tempo di omologazione imperante, un valore particolare. L’intellettuale organico, piacione e baciapile è la cifra del pensatore di oggi: televisivo, timoroso del confronto, a suo agio con i like di pagine controllatissime. Sempre seduto ai piedi del padrone, scodinzolante per un’apparizione, ben attento a non sfidare mai il senso comune o il contraddittorio.

I maestri irregolari oggi non ci sono quasi più: liberi, controcorrente, a loro modo anarchici e pasolinianamente lontani dalla perversione del potere. In tempo di salotti televisivi fa dunque molto bene Tomaso Montanari a rinfrescarci la memoria. Mi permetto in tal senso un suggerimento: dedichi una puntata a Louis Ferdinand Céline. L’autore del Viaggio al termine della notte, capolavoro della letteratura del 900.

Quando Deleuze e Guattari parlano di “letteratura minore” non intendono una letteratura di una lingua minore, ma “quello che una minoranza fa di una lingua maggiore”. Egli sfrondò il francese creando una lingua nuova, l’argot. Decorato per i suoi meriti nella prima guerra mondiale, conoscerà un declino legato alle sue scelte antisemite. La sua inappartenenza radicale, sia al regime di Vichy che alla Francia Repubblicana, l’esilio e la condanna per “indegnità nazionale” non gli tolgono il ruolo di gigante della letteratura con il suo Viaggio: un libro sull’orrore della guerra, sulla potenza della scrittura.

“Odiate ogni letteratura da padroni” scrivono Deleuze e Guattari, e qua sta la forza della lingua di Céline, portatrice di un messaggio spietato senza lusinghe. Scritta per testimoniare e non per apparire. La sua condanna a morte letteraria da parte dell’intellighenzia francese lo gettò nell’oblio, oggi riscattato da una patetica ricerca della destra e della sinistra di appropriarsi del suo messaggio.

Il Conseil National des écrivains fu l’organo deputato a stilare un elenco dei libri impubblicabili perché scritti da intellettuali compromessi con il regime. La voce di Jean-Paul Sartre fu assai determinante nel volere la messa al bando di Céline, desiderando che venisse ignorato al suo ritorno in patria. Nel 1947 Céline prende carta e penna e scrive A l’agité du Bocal, violento e dissacrante pamphlet rivolto contro Sartre, nel quale tra le altre cose mette in luce cosa nasconda la veemenza delle accuse rivolte contro di lui: Sartre, il censore, il resistente, aveva avuto la possibilità di mettere in scena una sua opera teatrale – Les Mouches – in piena occupazione al teatro cittadino, con presenza di militari tedeschi.

La frase “Il fallait bien vivre” pronunciata da Simone de Beauvoir, compagna di Sartre, segna un periodo ben stigmatizzato da Frederic Spotts nel suo libro The Shameful Peace: How French Artists & Intellectuals Survived the Nazi Occupation. In questo testo troviamo le parole di Sartre e della compagna: “Un sottile veleno corrose le nostre migliori intenzioni” (Sartre); “Al principio ebbi un solo pensiero, non fare la fine del topo” (de Beauvoir). La de Beauvoir che, come una recente biografia evidenzia, soleva passar le giovani fanciulle sedotte a Sartre per la deflorazione (A dangerous liaison).

Picasso che continuò a lavorare sotto l’occupazione nazista disse: “Passivamente, non cedo al terrore e alla forza, ma non è coraggio, è inerzia”. Quanto a Matisse, lamenta Spotts, “nel suo rifugio di Vence non avvertì nemmeno il problema morale della Resistenza”. Sartre si accomoda volentieri sulla cattedra parigina di Henri Dreyfus-Le Foyer, professore ebreo allontanato dall’insegnamento a causa della politica antisemita di Vichy.

Il suo Viaggio resta a ricordare come solo una letteratura alta, fatta cioè del medesimo impasto pulsionale del suo autore, lontana da inchini o salamelecchi col potere, sia degna di tal nome. Il primo luglio 1961 Céline muore. Muore in una solitudine colma di rancore e un deserto rotto solo dalla moglie Lucette e dal gatto Bebert. Muore per come è sempre stato, un parvenu della letteratura. Muore mandando “al diavolo libri e tirature! M’è capitato di scrivere quel che mi passava per la testa, però io non voglio essere altro che un semplice medico di banlieue”. Muore solitario ma, a differenza di Camus, per nulla felice. Il suo argot muore con lui. Céline, l’eretico per eccellenza.

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