Nessun altro odore ti si appiccica addosso in quel modo. Puzza di sostanze chimiche che provano a spegnere il tanfo di orina. Una combinazione che ti riempie le narici e ti svuota lo stomaco. Una mattinata dietro l’altra. Giorno dopo giorno dopo giorno. Andreas Brehme è andato molto vicino a respirare quell’odore per il resto dei suoi giorni. Proprio lui che era stato il giustiziere di Maradona. Proprio lui che con un rigore nella finale di Roma aveva trasformato le Notti Magiche in una favola tedesca. Perché nell’ottobre del 2014 l’ex terzino sinistro si è ritrovato senza un soldo in tasca. E con una lunga lista di conti da saldare. L’ipoteca sulla sua casa non basta a soddisfare i creditori. Deve trovare altri 250mila euro. E deve farlo il prima possibile. Altrimenti finirà schiacciato sotto il peso di quel suo mondo che da qualche tempo ha iniziato a scricchiolare.

Franz Beckenbauer decide di lanciare un appello. “Dobbiamo aiutare Brehme, abbiamo il dovere di restituirgli qualcosa di ciò che ha dato al calcio tedesco”, dice. Eppure il calcio tedesco non sembra molto impressionato. Perché non c’è nulla di più pornografico della dilapidazione della ricchezza. Soprattutto di quella accumulata giocando a pallone. L’unico a farsi vivo è Oliver Straube, un ex centrocampista che ha giocato nella periferia del calcio e che ora si è trasformato in un piccolo imprenditore nel settore delle pulizie. Il camice al posto della maglia da gioco, le ciabatte bianche al posto degli scarpini neri. Straube si gonfia il petto e annuncia: “Siamo disposti a impiegare Brehme nella nostra impresa e potrà lavare i bagni e sanitari così si renderà conto davvero cosa significa lavorare e qual è la vera vita. Ciò gli servirà anche a migliorare la sua immagine”. Un’offerta che assomiglia molto a una provocazione. Ma d’altra parte niente smacchia la coscienza come la possibilità di vestire i panni del buon samaritano. Niente dà può soddisfazione a chi non ce l’ha fatta di colpevolizzare chi ha avuto successo.

Brehme non risponde. Prende tempo. Ma sa che se la situazione non dovesse cambiare in fretta, sarà costretto ad accettare. Il miracolo prende la forma di un’offerta del Bayern Monaco. Gli propongono un ruolo da osservatore e un contratto che è una boccata di ossigeno. Andreas Brehme è salvo. Non dovrà lavare gabinetti per il resto della sua vita. Ma soprattutto non dovrà abbassare la testa e ringraziare pubblicamente, non dovrà ripetere di aver imparato la lezione. Brehme ha la possibilità di sopravvivere continuando a fare quello che gli aveva insegnato suo padre Bernd: pensare al calcio. Le lezioni si tenevano sui campi di allenamento, ma il principio era sempre la stesso. “A chi non è nato fuoriclasse un piede solo non basta”, ripeteva Bernd. Poi obbligava il figlio mancino a calciare con il destro per ore intere. Capire quale sia il suo piede naturale diventa praticamente impossibile. Anche per uno come Beckenbauer. “Lo conosco da vent’anni – dirà – e non so ancora se sia destrorso o mancino”. I frutti arrivano, anche se un po’ in ritardo. Perché l’Amburgo, la squadra della sua città, lo scarta durante un provino. Magath però si accorge di lui e lo propone al Saarbrucken, in Serie B. La prima grande occasione bussa alla sua porta nel nel 1981. Andreas ha 21 anni e il Kaiserslautern fa di tutto per ingaggiarlo. Con i Diavoli rossi conquista la Nazionale. Prima l’Under 21, poi quella maggiore.

Il passaggio al Bayern Monaco è inevitabile. Solo che in Baviera Brehme non spicca, resta uno dei tanti. Andreas riempie la bacheca (un Meisterschale, una Coppa e una Supercoppa di Germania), ma in campo è un gregario. La sua stella sembra essersi spenta prima ancora di aver iniziato a brillare. Al resto ci pensa un duro scontro con Jupp Heynckes. Così quando l’Inter inizia a trattare Lothar Matthäus con i bavaresi, a qualcuno si accende la lampadina. E nella trattativa viene inserito anche l’esterno che sembrava destinato alla Sampdoria. Per qualcuno Brehme non è niente più di un dazio necessario per arrivare al più famoso compagno di squadra. Eppure quando arriva a Milano l’esterno si dice pronto a “Comandare in Europa”. Trapattoni gli consegna la fascia sinistra. È l’intuizione che stravolge la sua carriera. Brehme diventa un martello. Il suo è un calcio essenziale, senza orpelli. Il tedesco scende sulla fascia, crossa, batte le punizioni. E fa gol. Nel gruppo nerazzurro si inserisce immediatamente. Berti ama nascondere la sua sacca fra gli armadietti della cucina, lui guarda, ride e risponde a modo suo. Anche se a volte scivola nel cattivo gusto. Come quando decide di colorare di rosso la testa di un pastore tedesco ad Appiano Gentile. A fine stagione l’Inter vince lo scudetto dei record. E il suo terzino sinistro ha giocato un ruolo fondamentale nell’impresa. “Non ci aspettavamo che andasse così bene – ammette Trapattoni – in Germania ha giocato molto a destra, questione di necessità. Ma secondo me era un po’ limitato da quella parte. Messo sulla sinistra sta facendo un gran bel campionato. Pensi che Crippa è costato 5 miliardi. Brehme meno di due”.

I nerazzurri non comanderanno in Europa, ma riusciranno comunque a vincere una Coppa UEFA. Nel 1990 L’esterno comincia a soffrire di qualche problema fisico. A febbraio la Roma manda in campo un esordiente. Si chiama Roberto Muzzi e ha la l’insolenza della gioventù. “Sono contento, certo. Però voglio dire una cosa: mi aspettavo che Brehme fosse più forte”, si lascia scappare a fine partita. Cinque mesi più tardi il tedesco calcia il rigore che trasforma la Germania nella squadra campione del Mondo. E lo segna di destro. Un anno più tardi l’Inter inizia a pensare di cederlo. Si parla del Verona, ma il calciatore non ne vuole sapere. “Non sono sposato con questa società – si lamenta – ci sono almeno 20 squadre nelle quali posso andare a giocare. Negli ultimi tempi ho ricevuto a casa tantissime telefonate di club interessati”. Il divorzio si consuma nel 1992. Prima un anno al Real Saragozza, poi altre 5 stagioni al Kaiserslautern. Il meglio, però, è ormai alle spalle. Nel 1998 si ritira e inizia la sua discesa nel buio. L’ultima volta che compare sui radar del calcio è nel 2005/2006, quando fa il vice di Trapattoni sulla panchina dello Stoccarda. Non esattamente un’esperienza indimenticabile. Il tedesco finisce nella naftalina dei ricordi. Avrebbe bisogno di aiuto ma non riesce ad ammetterlo. Almeno fino all’ottobre del 2014. È lì che inizia la sua nuova vita. Forse meno scintillante ma non per questo meno felice. Andreas Brehme è in qualche modo un sopravvissuto. Che oggi compie 60 anni.

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