Tra gli industriali più ricchi e potenti della Corea del Sud, è stato l’artefice del boom di Samsung Electronics. All’età di 78 anni è morto a Seul Lee Kun-hee. Era ricoverato in ospedale da sei anni in seguito all’infarto avuto nel 2014. L’uomo d’affari ha ricoperto la carica di presidente del gruppo Samsung dal 1987 al 2008 e dal 2010 al 2020. Condannato due volte, una nel 1996 e successivamente nel 2008 per corruzione ed evasione fiscale, è stato graziato in entrambi i casi. Nel 2014, era stato nominato la 35esima persona più potente del mondo e il coreano più potente dalla lista di Forbes, insieme a suo figlio Lee Jae-yong.

Il suo patrimonio personale era stimato in 18 miliardi di euro. Terzo figlio di Lee Byung-chul, il fondatore del gruppo Samsung, che nacque come esportatore di frutta e pesce essiccato, è grazie a lui che il gruppo si è trasformato nel primo produttore mondiale di smartphone, televisioni e chip di memoria. Nel 1987 ereditò dal padre la presidenza di quella che era già la grande conglomerata a conduzione familiare (‘chaebol’) del Paese. Lui la portò a una dimensione globale per elettronica, telefonia cellulare, televisori e microprocessori, fino all’edilizia e alle assicurazioni. Da solo, il gruppo vale un quinto del Pil e delle esportazioni della Corea del Sud.

La svolta arrivò nel 1993, quando Lee si accorse che il Gruppo Samsung era troppo concentrato sulla produzione di merci in grandi quantità ma di bassa qualità e non era preparato a competere nel settore elettronico. L’obiettivo di Lee era promuovere l’innovazione in azienda per affrontare la concorrenza della Sony Corporation. Nella “Dichiarazione di Francoforte” riunì i suoi dirigenti e invocò un cambiamento nella produzione, che da allora avrebbe dovuto privilegiare la qualità, anche se ciò avesse significato vendite inferiori. L’azienda è diventata il più grande produttore di televisori, sorpassando la Sony Corporation nel 2006. Alla sua morte, la società vale più di 300 miliardi di dollari.

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