La più grande strage della storia repubblicana avvenne a Livorno tra il 10 e l’11 aprile 1991. Uccise 140 persone imbarcate sul traghetto Moby Prince ed è oggetto di un’inchiesta tenuta da due anni sotto traccia dalla Procura di Livorno.

Alcuni recenti sviluppi che vedono il coinvolgimento della malavita organizzata nella cornice in cui si consumò la strage potrebbero portare l’inchiesta in capo alla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze. Insieme a Gabriele Bardazza abbiamo raccontato i fatti storici insindacabili di questa storia nel libro Il caso Moby Prince. La strage impunita (Chiarelettere, 2019). Ce li ha descritti la Commissione d’inchiesta monocamerale terminata nel gennaio 2018, memoria storica ufficiale dell’evento, cui ad oggi non è seguita alcuna iniziativa parlamentare di richiamo: né atti di sindacato ispettivo, né interrogazioni parlamentari, né una nuova doverosa Commissione bicamerale che concentri l’attenzione su almeno due fatti inquietanti della vicenda.

Il primo è relativo a genesi e dinamica della scelta delittuosa di omettere il soccorso alle 140 persone poi perite sul traghetto. La scelta è stata rivendicata dall’allora comandante della Capitaneria di Porto, Sergio Albanese, ma per gerarchia potrebbe essere ascrivibile ai suoi superiori: l’ammiraglio Franco Papili, allora a capo del Dipartimento Militare Marittimo “Alto Tirreno” e soprattutto il defunto Filippo Ruggiero, Capo di Stato Maggiore dell’epoca.

Né Papili né Ruggiero sono mai stati ascoltati dagli inquirenti in merito e l’omissione del coordinamento del soccorso finora imputata, in ipotesi, a Sergio Albanese è spiegata col suo surreale richiamo alla “logica” secondo la quale dato che dal Moby Prince erano assenti segni di vita, dovevano “essere tutti morti” già 30 minuti dopo la collisione. Tesi smentita dalla perizia medico legale della Commissione d’inchiesta che ha smontato pezzo per pezzo l’unica perizia medico legale mai disposta dalla magistratura sul caso, nel 1991, a mio parere in odor di massoneria.

Il secondo spunto è relativo alla magistratura che ha indagato e giudicato sul caso, senza definire colpevoli. A parere della commissione d’inchiesta la magistratura ha svolto male il suo compito in almeno quattro occasioni: le indagini, il processo di primo grado, il processo d’appello e l’inchiesta bis. La principale Procura che ha difettato, per così dire, è quella di Livorno, responsabile di tre delle quattro occasioni sovraccitate. Mentre in un’occasione, il processo d’appello, la Corte d’Appello di Firenze.

I nomi e cognomi di chi ha indagato, giudicato, fornito perizie tecniche valutate come fuorvianti o quantomeno omissive sono lì in atti. Eppure ad oggi nessun provvedimento è stato preso. Anzi, la politica ha evitato di approfondire l’aspetto più inquietante di questo scenario di malagiustizia o quantomeno di giustizia “deficitaria”: la segnalazione da parte della Commissione d’inchiesta che la magistratura avrebbe svolto male il suo lavoro fino al gennaio 2018 perché influenzata/indotta in errore dall’accordo siglato il 18 giugno 1991 – due mesi e otto giorni dopo la collisione – tra le compagnie armatoriali delle navi coinvolte nella collisione (Nav.ar.ma spa, oggi Moby spa dell’armatore Vincenzo Onorato, e Snam spa, compagnia all’epoca 100% statale), il proprietario del carico della petroliera, ovvero Agip spa (oggi Eni spa, altra azienda pubblica), e i loro assicuratori.

Il passaggio è cruciale. Praticamente la Commissione d’inchiesta ci sta dicendo che un accordo assicurativo ha prodotto una verità di comodo, in larga parte già enunciata alle 3 del mattino a stampa e tv dal comandante della Capitaneria di Porto dell’epoca, sorretta dall’inchiesta sommaria prodotta dalla medesima Capitaneria, confermata dalla Commissione ministeriale formale nel 1992 e certificata negli anni dalla magistratura in due sentenze e una richiesta di archiviazione.

Basterebbe questo passaggio per dirci che serve una nuova Commissione d’inchiesta bicamerale sulla vicenda. Basterebbe leggere gli atti della Commissione per capire la portata di questa verità, sommessa, descritta dai commissari. Eppure il Parlamento tace a riguardo.

Ma fortunatamente, mentre Roma tace, Livorno avanza. La Procura infatti sta proseguendo le indagini alla ricerca eventuale del reato di strage, unico non prescritto – così spiegò un anno fa il Procuratore Capo Ettore Squillace Greco – per ora con un fascicolo aperto per atti relativi. Gli atti relativi sono gli atti della Commissione d’inchiesta sull’accordo assicurativo e soprattutto un documento del Sismi del 2004 che pone l’incidente Moby Prince in un diagramma di flusso Iraq-Italia-Somalia, tra il nodo Iraq e Italia.

Secondo tale documento, di autore ignoto, l’incidente sarebbe collegato ad una rete di traffici illegali di armi, scorie e rifiuti tossici che avvenivano nella rada di Livorno. A beneficio, protezione e forse gestione del mercatino notturno, secondo le indagini in corso, potrebbero esserci state delle associazioni a delinquere di stampo mafioso. Di qui l’ipotesi di assegnazione dell’inchiesta alla Dda di Firenze.

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