L’Italia è un paese strano. Per certi versi inconcepibile. Ma in uno Stato di diritto anche l’inconcepibile deve diventare concepibile. È solo una questione di tempo e giustizia.

Un esempio: nel gennaio 2018 una Commissione d’inchiesta parlamentare ha riscritto la storia della vicenda Moby Prince. Secondo quanto accertato dalla Commissione d’inchiesta, il traghetto Moby Prince ha speronato la petroliera Agip Abruzzo per una non precisata “turbativa della navigazione” e a seguito dell’incidente, mentre l’equipaggio del traghetto operava eroicamente un tentativo di salvataggio delle persone imbarcate, lo Stato abdicava alle sue funzioni di coordinamento del soccorso in mare, lasciando morire 140 persone in ben più della “mezz’ora” raccontata per 27 anni.

Pensate: nella relazione medico legale della Commissione, i tempi di sopravvivenza per alcune vittime sono stimati in ore, in un caso ben nove! Cosa significa tutto questo? Che per 27 anni la magistratura, le istituzioni e i mass media hanno ricostruito e raccontato una verità di comodo su quanto accaduto a 140 persone decedute a poche miglia dal Porto di Livorno (pare su input di un ambiguo accordo assicurativo) e oggi per la prima volta si inizia a parlare di “strage del Moby Prince”, con tanto di una Procura – quella di Livorno – attivata per accertare movente, mandanti ed eventuali esecutori di questo che il codice penale definisce un atto “volto a uccidere” una o più persone.

Se confermata, sarebbe la più grande strage della storia repubblicana e già oggi ne è la più grande sul lavoro. Quindi da circa un anno la Repubblica italiana ha preso coscienza di aver vissuto la sua più grande strage tra il 10 e l’11 aprile 1991 davanti a Livorno e di averla declassificata a “banale quanto tragico” incidente per quasi tre decadi.

Una robina grossa, che ne dite? Ne avete sentito parlare in qualche talk show? Avete letto qualche apertura dei giornali principali? Avete visto qualche forza politica farne una battaglia? Non vi preoccupate se la risposta è “no”. Non siete voi disconnessi dal mondo, è il mondo disconnesso da questa storia. Semplicemente, dalla pubblicazione della relazione finale della Commissione d’inchiesta parlamentare, sul caso Moby Prince è ripartita l’operazione oblio controllato. Gli atti della Commissione sono arrivati a due Procure, Livorno e Roma. E tutto tace da entrambe.

È uscito il libro scritto da me e da Gabriele Bardazza – frutto di una lunga battaglia civile al fianco dei familiari delle vittime – e nel merito poco più. Questo nonostante chiavi di storytelling interessanti: ad esempio quella che ha visto un assicuratore delle Bermuda accettare di saldare 60 miliardi di risarcimenti quando la legge consentiva di pagarne sei. Inconcepibile no? No. That’s Italy!

Ma la strage è reato che non si prescrive e qui il cerino acceso dalla Commissione d’inchiesta è arrivato alla Procura di Livorno. Proprio quella che la stessa Commissione d’inchiesta ha messo sotto accusa per aver cannato la ricostruzione dell’accaduto per oltre vent’anni. Certo, oggi la Procura di Livorno è guidata da un magistrato antimafia che ha scelto come titolare dell’indagine Moby Prince una collega mai prima coinvolta in inchieste sulla vicenda e degli ufficiali di polizia giudiziaria dell’unico corpo finora mai interessato da accertamenti giudiziari sulla strage: la Guardia di Finanza. Ci sta indubbiamente provando, a trovare la verità, ma lo sta facendo nel più completo silenzio istituzionale e mediatico. Per l’ennesima volta è lasciata sola a gestire il “caso del secolo”. Perché?

Purtroppo “a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”, diceva un sette volte presidente del Consiglio italiano. Il motivo è forse il fatto che questa Procura sta operando con un fascicolo aperto per “atti relativi” al Moby Prince e il principale è un documento del servizio segreto militare italiano (Sismi) del 2004 che inserisce l’incidente in una “rete di traffici paralleli (armi, scorie, rifiuti tossici)” che collega l’Iraq 1990-91, con la fine della guerra del Golfo, l’Italia e la Somalia. Pensate, il documento è stato desecretato dalla Commissione d’inchiesta sui rifiuti l’8 febbraio 2017 e la Commissione d’inchiesta Moby Prince lo ha ritenuto ininfluente, benché sembri l’unica pista per definire il movente di una strage che ha ucciso 140 persone. Particolare non banale: quando la Procura di Livorno indagò proprio sull’ipotesi dei traffici illeciti, tra il 2006 e il 2010, chiese di acquisire ogni atto sul caso anche dai Servizi italiani (Sismi e Sisde), ma questo non gli fu dato.

L’incidente del Moby Prince senza la strage avrebbe svelato quella “rete di traffici paralleli (armi, scorie, rifiuti tossici)” citata dal Sismi? Questa interessava una petroliera statale che temporeggiò nel farsi trovare quella notte dai soccorritori perché doveva far sparire dalla scena chi non doveva esserci e ufficialmente mai c’è stato? Era tra questi “America Cargo Vessel”, il natante fantasma cui il comandante di un’altra nave militarizzata Usa ordinò proprio di “prendersi cura” del problema che il personale Agip Abruzzo stava iniziando a dare la “posizione della nave”?

Alla piccola Procura di Livorno il compito di rispondere. Meglio, credo, se aiutata da una Commissione d’inchiesta parlamentare che voglia fare piena luce sulla più grande strage della storia repubblicana e da un’opinione pubblica più consapevole della necessità di verità e giustizia per le sue 140 vittime.

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