Alcuni italiani vedono negli stranieri un allarme in senso generico, ma nella quotidianità la loro preoccupazione è minima. Per un cittadino su quattro il fenomeno migratorio è un problema per il Paese, se pensa all’impatto sul panorama nazionale. Al tempo stesso no, se la domanda viene posta a livello comunale il rapporto scende a un italiano su dieci. Il dato emerge da un sondaggio Ipsos realizzato per WeWorld, organizzazione di cooperazione internazionale attiva in diversi Paesi del mondo. “È la dimostrazione che la paura nasce quando non c’è conoscenza. A livello locale il migrante non è più un numero: è il tuo vicino di casa, la persona che fa consegne a domicilio, il pizzaiolo, la badante, e via così. Su un panorama nazionale invece le vicende dei singoli si perdono e rimane il fenomeno in astratto”, spiega Stefano Piziali, responsabile programmi Italia e Advocacy.

Quanto ai migranti stessi, il 70% dei notiziari nazionali ne parla come oggetto del discorso, senza interpellarli. Emerge da un’altra ricerca, “Migranti e lavoro nell’informazione italiana”, realizzata dall’Osservatorio di Pavia sempre per WeWorld. Lo studio si è concentrato sulle edizioni più seguite di sette telegiornali generalistiRai Uno, Rai Due, Rai Tre, Rete 4, Canale 5, Italia 6 e La7 – e sulle edizioni cartacee di dieci quotidiani di diverso orientamento culturale: Avvenire, Il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Foglio, Il Giornale, Il Sole 24 Ore, La Repubblica, La Stampa, La Verità, Libero quotidiano.

Due i macro temi che racchiudono la tematica immigrazione: atti di razzismo o intolleranza e diritti dei migranti e delle minoranze etnico religiose. Segue al terzo posto per presenza nelle notizie il capitolo sugli sbarchi. Fra gli argomenti meno affrontati invece le storie positive e di inclusione, presentate – dice l’Osservatorio – in particolare dalla Rai. Il tutto rappresenta il 3,7% delle notizie. Stando alla ricerca, solo nel 17% dei casi i migranti hanno un ruolo da protagonisti nella narrazione che li riguarda: “E nel 13% dei casi hanno una voce. Noi del terzo settore, per primi, dovremmo dialogare con più impegno con i media per cercare di portare alla luce i singoli casi individuali”, continua Piziali. “Sottolineare solo casistiche, numeri e dati non fa che aumentare gli stereotipi”. E infatti, sempre secondo Ipsos, se il 60% degli intervistati dice di essere favorevole all’inclusione e riconosce la mancanza di pieni diritti alla salute per chi è immigrato, il 37% li accusa di aver favorito l’aumento di contagi da Covid-19.

“Bisogna fare autocritica. C’è una forte incapacità di tutti noi nel raccontare nel modo giusto quello che sta accadendo”, prosegue Piziali. “I cittadini stanno iniziando a capire che dietro ai volti di chi emigra dal proprio Paese e arriva nel nostro ci sono storie di un’integrazione in divenire. Lo vedono nella vita di tutti i giorni, sul lavoro. Su questo bisogna puntare”. Per evitare, quindi, di restituire un’immagine di categoria indefinita.

L’Osservatorio di Pavia rileva in effetti come sia proprio la regolarizzazione di braccianti, colf e badanti a occupare gran parte della copertura giornalistica dedicata all’occupazione dei migranti (il 58%). Segue, anche se distante, lo sfruttamento del lavoro (17,1%). “La migrazione, ormai, è una necessità per il continente europeo. Fra dieci anni o poco più ci saranno milioni di posti di impiego che rimarranno scoperti, soprattutto in alcuni ambiti economici. Già adesso ci sono molte aziende del Nord Italia che cercano manodopera più o meno qualificata e la trovano fra chi è immigrato e ha intrapreso un percorso di integrazione”, conclude Piziali. “In particolare nell’edilizia, nell’agricoltura, nei servizi socio assistenziali e nella logistica. La questione migratoria viene sempre vissuta in ottica emergenziale, ci vorrebbe invece un piano strategico di lungo periodo”.

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