Punto e capo: ricomincia il campionato, e ricomincia da zero. Archiviata la triste stagione del Covid, quella forzata ripresa estiva per salvare conti e contratti che però non ha scaldato il cuore a nessuno. Niente più protocolli, calendario pazzo, algoritmi, atmosfere surreali, finalmente si gioca e basta. Era ciò che si auguravano un po’ tutti: i tifosi che vogliono tornare ad esultare, i calciatori stufi di giocare in templi senza dio, i presidenti angosciati dai bilanci in rosso. Purtroppo non sarà così, non subito almeno: oggi alle 18 la Serie A riparte più o meno da dove aveva lasciato. Soltanto la classifica è azzerata e almeno quella dà l’illusione di una vera ripartenza. Ma restano gli stessi problemi, le stesse incognite, a partire dagli impianti: gli stadi mezzi chiusi e “mezzi aperti” da un’ordinanza regionale dell’Emilia-Romagna in contrasto col governo, forse persino peggio che fossero tutti vuoti. E poi i tanti (troppi?) tamponi a cui i calciatori devono essere sottoposti per giocare, il calendario fitto su cui aleggia lo spettro dei playoff (che la Figc potrebbe imporre con la scusa del Covid), la paura dei contagi che aumentano nel Paese. Tutte questioni che tengono col fiato sospeso la stagione 2020/2021, e che bisognerà risolvere perché il prossimo sia un campionato vero.

STADI – Sembra incredibile, ma a poche ore dal fischio d’inizio non si sa nemmeno con assoluta certezza se gli stadi saranno aperti. In teoria avrebbero dovuto essere chiusi, almeno all’inizio, così prevede il Dpcm in vigore fino al 7 ottobre. Ma ieri si è innescato un cortocircuito politico per cui, alle dichiarazioni del ministro Spadafora che autorizzava la presenza di mille spettatori agli Internazionali di tennis (e altri eventi sportivi singoli, ma non il campionato) è seguita l’ordinanza dell’Emilia-Romagna del governatore Bonaccini, che ammette mille persone a Parma-Napoli e Sassuolo-Cagliari.

Un caos che dipende da questioni politiche ed economiche, su cui si sono saldati gli interessi dei club e di alcuni governatori. Facile capire perché il pallone ci tenga tanto: la Serie A senza spettatori non funziona, le partite perdono emozione, i presidenti perdono milioni, circa 400 a stagione, che per i conti disastrati delle società sono ossigeno. Nelle ultime settimane la Juventus di Agnelli aveva fatto carte false per ottenere una capienza ridotta al 30% o anche solo di mille spettatori. La “spallata” al governo, però, a meno di 24 ore dal fischio d’inizio è arrivata dall’Emilia-Romagna.

Caos totale. Per il debutto di oggi pomeriggio, Fiorentina-Torino, probabilmente ormai è comunque troppo tardi, già domani in Emilia-Romagna e poi nelle prossime giornate è difficile dire cosa accadrà: il governo deve decidere se andare allo scontro con le Regioni o cedere e riaprire gli stadi prima di quanto avrebbe voluto. Senza pubblico non è vero calcio, ma nemmeno col pubblico a macchia di leopardo, a porte chiuse in una Regione e aperte in un’altra: di questo dovrebbero preoccuparsi anche la Figc, che invece per ora tace.

TAMPONI – In attesa di definire la questione pubblico – ora, a ottobre o più in là – i calciatori tornano in campo con lo stesso, rigidissimo protocollo stilato dalla Figc del presidente Gravina che ha permesso di chiudere la scorsa stagione: un tampone ogni 3-4 giorni per tutti i membri del gruppo squadra, addetti ai lavori contati e contatti esterni ridotti all’osso. Altro problema. Ha funzionato per tre mesi, ma il calcio è in agitazione perché non è sostenibile all’infinito, innanzitutto per una questione economica: tra giugno e agosto i club professionistici hanno effettuato 56mila tamponi e 17mila test seriologici, per un costo di oltre 8 milioni di euro. Cifre enormi per soltanto tre mesi, immaginate la proiezione sull’intera stagione.

Infatti la Figc è tornata alla carica col governo per allentare il protocollo: un esame ogni otto giorni, invece che quattro. Il ministro Spadafora è d’accordo, il comitato tecnico-scientifico meno. D’altra parte il caso di Aurelio De Laurentiis, positivo alla riunione in Lega mentre era in attesa del risultato di uno di questi tamponi di routine, ha dimostrato che nemmeno queste regole severe prevengono del tutto i focolai, se giocatori e dirigenti sono liberi di muoversi liberamente fra un test e l’altro (e non potrebbe essere diversamente). Le regole potrebbero essere alleggerite a breve, ma il calcio stia attento a cosa chiede: più si abbassano gli esami, più aumentano i rischi di nuovi focolai nelle squadre (e quindi di un nuovo stop).

CALENDARIO – C’è un altro elemento con cui il campionato dovrà fare i conti: il tempo. Mai la stagione era iniziata così tardi, a fine settembre, ma dovrà concludersi comunque presto, anzi, prima del solito: il prossimo 11 giugno inizia l’Europeo 2021 che fu Euro2020, e la Uefa non ammetterà altri rinvii. Bisognerà marciare a tappe forzate, giocare in continuazione: tre soste per le nazionali (che devono finire la Nations League), addirittura sei turni infrasettimanali, la pausa di Natale dal 24 dicembre all’Epifania. I margini di manovra saranno minimi: al primo rinvio, per Covid o anche solo per maltempo, ricomincerà il rebus di come incastrare i recuperi. Infatti il presidente federale Gravina tiene sempre nel cassetto il progetto “playoff”, suo vecchio pallino che non piace alla Serie A ma riscuote sempre più consensi a livello internazionale, di chi vuole riformare (o smantellare?) i campionati nazionali. La questione tornerà d’attualità comunque, ma soprattutto in caso di problemi. Ammesso invece che tutto fili liscio, resta da capire come reagirà il fisico dei calciatori, che da giugno 2020 a giugno 2021 non potranno praticamente mai fermarsi: infortuni, turnover forzati e condizioni scadenti potrebbero condizionare lo spettacolo.

COVID – Il problema generale, però, è l’elefante nella stanza con cui dobbiamo ancora fare i conti tutti, non solo il calcio: il coronavirus. Non se n’è andato, i contagi dopo il picco estivo sono tornati a salire, giusto sotto il livello di guardia. A metà settembre, con la scuola appena riaperta, prima della classica ondata di influenza invernale i cui effetti in tempi di coronavirus sono imprevedibili. Cosa succederà fra qualche mese? Se lo chiedono tutti, e ovviamente pure il pallone. Tolto lo scenario apocalittico di un nuovo lockdown, non è però possibile escludere chiusure settoriali o locali. Gli ultimi mesi hanno dimostrato che la Serie A può giocare comunque (è la scommessa vinta dal n.1 della Figc Gabriele Gravina), ma anche che non è la stessa cosa. Un’altra stagione così significherebbe abituarsi a una nuova, triste normalità. In cui il calcio ha meno senso di esistere.

Twitter: @lVendemiale

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