“Ragazzi, dov’è il Giani?”, “sarà a inaugurare qualche sagra”. Fucecchio, provincia di Firenze, a pochi giorni dalle elezioni regionali toscane. A rispondere alla domanda di Matteo Renzi per il ritardo (di un’ora) del candidato del centrosinistra al comizio nel paese natale di Indro Montanelli è, con una battuta, uno spettatore. Come accade spesso da queste parti bastano poche parole per riassumere forza e debolezze di un candidato che fin dall’inizio ha diviso la sinistra toscana. Da assessore prima e presidente del Consiglio regionale poi, Eugenio Giani – ex socialista ma “mai craxiano” – da anni macina chilometri per tutta la Regione, partecipando a eventi, inaugurazioni, congressi, dibattiti, panel, feste, anniversari in ogni comune. Un’attitudine che lo ha reso una faccia molto nota, ma che gli è anche valsa l’attribuzione dell’immagine – a torto o ragione – del “prezzemolino” o del “taglianastri”. Dall’altra parte, a sfidarlo, a tentare di ribaltare tutto, quindi a spaventare la Toscana di sinistra, c’è la candidata più a destra nell’immaginario locale, l’eurodeputata Susanna Ceccardi, fedelissima di Matteo Salvini, e prima sindaca della Lega la cui iperattività in tv l’ha spinta dopo solo tre anni a lasciare il suo paese per passare dalla campagna pisana al Parlamento di Strasburgo. Cosa succederà? La partita è aperta e a guardare cosa succede da quelle parti (con apprensione) è il Pd e di riflesso tutto il governo. Per questo Zingaretti si è ritrovato a un tour de force in cui negli ultimi giorni si è attaccato a due baluardi: la sanità e le radici. Matteo Salvini ci crede e venerdì chiuderà la campagna elettorale proprio a Cascina.

La Lega ci prova. Salvini, Ceccardi e la campagna moderata – La Regione che finora è stata rossa perfino nel nome del suo governatore uscente si prepara al testa a testa con la candidata leghista. Come fu in Emilia-Romagna otto mesi fa, il copione potrebbe ripetersi. Con una differenza: Salvini e i suoi hanno imparato la lezione. Quella del Carroccio è stata infatti una campagna elettorale su due binari paralleli, uno rivolto ai fedelissimi e l’altro con l’obiettivo di attirare l’attenzione dei moderati, degli indecisi, degli scontenti, dei simpatizzanti di destra che mai avrebbero creduto un giorno di avere questa chance.

Proprio agli indecisi sono rivolti gli enormi manifesti sparsi per la Toscana con la faccia di Susanna Ceccardi. Con una novità: sfondo grigio, scritta gialla. Nessun colore o simbolo che rimandi alla Lega, un’operazione di “pulizia” che la campagna di Ceccardi, alla quale sta lavorando anche Daniel Fishman, l’esperto di strategie di comunicazione che ha contribuito alla vittoria di Bonaccini in Emilia-Romagna, dedica ai più moderati. Per i fedelissimi, invece, ci sono i comizi, dove non manca mai la presenza del Capitano. “Salvini non mi farà ombra”, aveva assicurato la Zarina temendo l’effetto Borgonzoni. In verità, è per lui che la gente si è presentata sotto ai palchi leghisti, senza particolari affollamenti. Il capo del Carroccio ha scelto una strategia ben diversa da quella che ha portato alla sconfitta emiliana: meno spregiudicata, niente scivoloni come quello del citofono del Pilastro, a Bologna, ma sempre incentrata sul tema immigrazione. I momenti di maggior risalto nazionale li ha avuti quando è stato contestato, come a Viareggio o Empoli, “capoluoghi mancati”, o Firenze (dove ha portato in piazza qualche migliaio di persone.

Centrosinistra, il candidato della Prima Repubblica ora teme i giovani – Se la Toscana è la nuova Emilia Romagna, quella della destra è un’altra sfida alla storia della sinistra. E in questo caso si carica pure sulle spalle un pezzo di destino della sinistra nazionale, e del suo governo. Un crocevia che decide l’identità di una Regione, innanzitutto: la necessità di una sinistra moderna ma con un candidato che arriva dalla Prima Repubblica o il cambiamento una volta per tutte, la svolta finale dopo i segni di cedimento di questi anni, da Livorno e la sua sbandata grillina a Pisa col suo sindaco leghista? Da qui la forma diversa di campagna elettorale. Giani fa quello che gli riesce meglio: gira la Regione in lungo e in largo, sfrutta ogni occasione per fare presenza e ricordare a chi lo segue che lui li conosce, conosce la loro terra e i loro bisogni. Di ogni paesino cita gli illustrissimi che furono, le peculiarità da valorizzare: placido, rassicurante, una faccia vista in tv (locale) mille volte. Ma questa volta forse non basta, la partita è quella di portare la gente ai seggi: la propria gente, si intende, da far alzare dai divani perché questa volta non c’è più la regola del “tanto si sa chi vince”. Nel Pd stesso c’è chi scommette che i giovani scarteranno il partito che una volta era la stella polare e preferiranno liste come Sinistra Civica Ecologista, appoggiata da Elly Schlein, il cui apporto è stato significativo nella vittoria di Bonaccini a gennaio.

Giani senza Instagram ma con il profilo parodia da centinaia di follower – Che si rischia grosso lo sa anche Matteo Renzi (“sanità, Europa, diritti: è la madre di tutte le partite”) per il quale Giani è stata la condizione necessaria per stare dentro la coalizione: “Eugenio non sa usare Instagram – dice – Abbiamo scelto la competenza, se volevamo un influencer chiamavamo direttamente la Ferragni“. C’è chi ci ha pensato al posto suo, però, come il profilo-parodia Instagram “Giani c’era” che, giocando sull’onnipresenza del candidato dem, lo colloca al centro dei più importanti eventi storici mondiali: Yalta? Giani c’era; Gagarin nello Spazio? Giani c’era; la Resurrezione di Cristo: sì, Giani c’era. Il dubbio, la paura, l’ansia del Pd in queste ultime due settimane: Giani, l’emblema della “forza tranquilla” come si sarebbe detto negli anni Ottanta, forte dell’argomento della difesa di una sanità pubblica che ha retto all’urto del coronavirus, non infiamma le piazze nel tempo dei comizi rilanciati su Facebook. Eppure è il primo a capire il rischio qual è: “Quando leggete in giro che ci sarà un ballottaggio, non dovete crederci. Tutti i sondaggi danno me e la Ceccardi sopra al 40 per cento e non si va al ballottaggio. Il voto conta da subito”.

La carta dem per scongiurare la sconfitta? L’antifascismo – Da settimane il segretario del Pd Nicola Zingaretti fa appello al voto disgiunto degli elettori 5 Stelle (“Rispetto le identità, ma non giochiamo con il fuoco), ha mandato a dire agli elettorati “alleati al governo” di votare chi può fermare la destra, e in un solo giorno, ieri, si è presentato in 5 città: da Livorno a Pistoia, passando per Pisa, Viareggio, Lucca. Tra le parole chiave, il richiamo alle radici, l’alfabeto antifà: “Candidano nella democratica Toscana una donna che non si ritiene né fascista né antifascista e che dice che è anacronistico parlarne. Non può guidare la Toscana. Dobbiamo combattere”. Quella di Zingaretti è una strategia elettorale, ma neanche tanto campata in aria. Solo ieri Nicola Sisi, candidato a Siena per una lista civica che sostiene la Ceccardi ha ribadito la sua “simpatia” (così ha detto) per Forza Nuova, il cui segretario – come noto – è Roberto Fiore.

“Giani? E’ il volto conosciuto, rassicurante e conosce il territorio” – Giani, l’uomo “troppo tranquillo”. Eppure c’è chi dice che a sorpresa, al contrario, proprio “la figura di Giani possa dare una spinta in più al centrosinistra, non penalizzarlo come qualcuno dice”. Il professor Cosimo Ceccuti, politologo, ex segretario particolare di Giovanni Spadolini, presidente della Fondazione sottolinea che Giani, “a Firenze ma non solo, è per molti ‘Eugenio’, una persona con cui si intrattengono rapporti da anni, conosciuta, rassicurante, grande conoscitore della storia e dei bisogni del territorio. Non so come vedranno la sua candidatura in altre province, ma su Firenze mi sento di dire che tra l’esperienza da amministratore di Giani e quella ancora limitata di Ceccardi, le persone sceglieranno lui”. Cos’è successo a sinistra? “Certo, dopo il renzismo che ha riportato Firenze sul palcoscenico politico nazionale, la sinistra toscana è stata snaturata con una svolta al centro. Ma Giani, che di certo non è un rappresentante della cosiddetta base diessina, non è nemmeno un uomo dell’ex premier che in passato gli ha anche preferito Nardella come candidato a sindaco di Firenze. Certo, questa ‘base’ avrebbe forse preferito una candidatura come furono quelle di Rossi o Claudio Martini, ma tra il votare Giani o la Ceccardi mi sento di dire che il Democratico sarà nettamente preferito” azzarda Ceccuti. Giani un ‘prezzemolino’, un taglianastri, un “mangiatartine”? Qui a Firenze si dice che lui è uno che mangia l’antipasto in un posto, il primo in un altro e il secondo in un altro ancora. È uno che fa sempre presenza, ad alcuni può non piacere, ma credo che per la maggior parte dei fiorentini, ma anche dei toscani, sia una cosa positiva”.

Il voto sui territori – Ecco perché dunque Zingaretti ha concentrato il suo rush finale sulla costa, da Livorno verso Nord, e poi in città come Lucca e Pistoia. Con una possibile ricostruzione, Giani parte dalla solida base delle province di Firenze e Siena, dove dovrebbe riuscire a guadagnare un ampio vantaggio: i due territori mettono insieme circa 1,2 milioni di abitanti sui 3,7 milioni dell’intera Toscana. Ceccardi, invece, può contare sulla Lucchesia, storicamente di centrodestra (dalla Dc a Marcello Pera), terza provincia per numero di abitanti, con quasi 390mila persone, oltre che sul Grossetano e l’Aretino. Con la leghista andrà una parte del Pisano, la sua terra, che conta 422mila abitanti e si allunga fino alla Maremma.

Livorno decisiva? – Così, a diventare l’Ohio di Toscana, lo Swing State che decide le elezioni, potrebbe essere la provincia di Livorno. Quella più imprevedibile, storicamente rossa ma da sempre fuori dagli schemi, come nell’animo di chi la abita. Furono loro, nel 2014, a portare in Municipio il pentastellato Filippo Nogarin, rompendo con la tradizione di sinistra della città, salvo poi tornare sui propri passi cinque anni dopo (proprio in un temuto ballottaggio con la destra, in quel caso un candidato di Fratelli d’Italia). “Per sentimento generale – sostiene Mario Cardinali, fondatore e direttore del Vernacoliere – fatico a credere che un profilo come quello di Ceccardi possa godere di simpatie particolari in questa città. Non mi sembra così preparata culturalmente e politicamente. Il problema è che queste caratteristiche, nell’immaginario collettivo, appartengono ormai a chi, in passato, ha tradito”.

Certo, ricorda Cardinali, “qui la tradizione non si è rotta con Nogarin, ma molti anni prima. Da quando la sinistra si è snaturata, è mancata al suo ruolo, abbandonando l’ideologia in favore del neoliberismo, dell’appoggio ai grandi imprenditori e alle esigenze delle diverse realtà lontane dal popolo. Ai politici, e Giani mi sembra essere uno di questi, manca il sangue degli anni passati, quello che invece servirebbe ad accendere una piazza sanguigna come quella livornese. Così, si è fatto strada il cosiddetto populismo, che io però leggo come inconscia rassegnazione, agghiacciante per il messaggio di violenza che trasmette. È un po’ come se i partigiani, nel bel mezzo della Resistenza, avessero buttato via i fucili e avessero detto ‘ma chi me lo fa fare? Basta con la lotta, un modo per tirarci fuori le gambe lo troverò’. Ma oggi, tra gli stessi portuali, il nostro proletariato, non è raro trovare chi decenni fa andava in giro col medaglione con falce e martello e che oggi dichiara tranquillamente che voterà Lega, perché è lì che vedono l’antisistema che, in realtà, antisistema non è”.

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