Due ragazzini che fanno uso di droga. Uno addirittura tredicenne. Entrambi, nel settembre 2017, frequentano gli ambienti dello spaccio a Reggio Calabria. Trovano diversi panetti di marijuana e pensano di avere svoltato. Li rubano e decidono di rivendere lo stupefacente ad altri spacciatori della zona. Il luogo dove la droga era nascosta, però, è video-sorvegliato e vengono subito scoperti. Scatta, quindi, la punizione e il tentativo di recuperare la sostanza stupefacente o quantomeno il suo valore in denaro. I due minorenni vengono sequestrati per diversi giorni, chiusi in un appartamento e in una cantina dove i pusher di Giuseppe Chillino li hanno pestati, imbavagliati e minacciati di morte con le armi.

È l’aspetto più raccapricciante dell’inchiesta “Sbarre” che stamattina, a Reggio Calabria, ha portato all’arresto di 19 persone accusate di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Il blitz è scattato all’alba quando i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta del procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri e dei sostituti della Dda Walter Ignazitto e Diego Capece Minutolo: 17 persone sono finite in carcere mentre per due è stato disposto l’obbligo di presentazione.

Le indagini sono iniziate dopo che i due minorenni sono stati liberati. Una volta fuori, infatti, il più piccolo ha sporto denuncia per paura di subire altre ritorsioni da Giuseppe Chillino e dagli altri presunti responsabili del sequestro di persona: il cittadino marocchino Anouar Azzazi, Gabriele e Andrea Foti. Sono loro, secondo gli inquirenti, ad aver privato i due minorenni della libertà personale, costringendoli a rimanere per diversi giorni all’interno di una abitazione in via Bolzano e in una cantina di viale Europa. A sbloccare tutto è stato Antonio Sarica, un altro indagato nei cui confronti il gip ha disposto l’arresto in carcere. Parente di uno dei due minori, stando alla ricostruzione dei carabinieri, Sarica si è impegnato ad assumere “in proprio” il loro debito, versando la somma in favore dei sequestratori. Tutti, adesso, sono finiti nella rete dei carabinieri.

Con l’inchiesta “Sbarre”, infatti, la Direzione distrettuale antimafia ha disarticolato due distinte organizzazioni di spacciatori. Una di queste, guidata da Luigi Chillino e Gabriele Foti, era più organizzata: ogni componente aveva ruoli specifici, turni e orari fissi per presidiare la piazza di spaccio. Ogni pusher, inoltre, veniva “stipendiato”. Durante le indagini, concluse nel marzo scorso, gli investigatori hanno trovato la contabilità del gruppo i cui componenti comunicavano attraverso pizzini o schede telefoniche intestate a extracomunitari non residenti in riva allo Stretto.

Per i pm, i pusher che facevano capo a Giuseppe Chillino riuscivano ad assicurare, nella zona del rione Guarna-Caridi, un costante controllo del territorio, con turni a tutela dell’attività di spaccio seguendo le direttive fornite dai capi attraverso un penetrante servizio di “guardiania”. Per evitare di essere capiti nelle intercettazioni, inoltre, utilizzavano termini criptici come “talpa”, “avvocato” e “centro”. Ogni parola corrispondeva a una “comunicazione di servizio”. L’inchiesta ha svelato le mire espansionistiche dell’organizzazione. Alcuni associati, infatti, erano soliti spostarsi sul territorio nazionale e svolgere una parte della propria attività di spaccio in Veneto dove potevano contare sul sostegno di alcuni indagati e familiari.

Il secondo gruppo era diretto dall’indagato Antonio Sarica che aveva il controllo dello spaccio tra il rione Sbarre e il viale Calabria. Si trattava di un’organizzazione criminale sicuramente meno numerosa e con meno mezzi operativi, ma con più contatti pericolosi. Sarica, infatti, godeva dei rapporti con soggetti vicini a alle famiglie di ‘ndrangheta Tegano e Molinetti. Le cosche mafiose di Archi, infatti, rifornivano di droga gli indagati che riuscivano così a muoversi con agilità nel sottobosco criminale reggino. Sarica era affiancato da Andrea Pennica, detto “Barone” o “Anderson”, e Gianluca Mirisciotti, conosciuto con il sopranno di “Pupo”. Durante le indagini 16 persone sono state arrestate in flagranza di reato, 5 denunciate e 12 segnalate amministrativamente per uso di sostanze stupefacenti. Sono stati, inoltre, sequestrati 8 chili di marijuana e 250 grammi di cocaina.

Nel corso della conferenza stampa, il procuratore Giovanni Bombardieri ha spiegato che “questo è un procedimento che nasce da un fatto inquietante, il sequestro di due ragazzini, uno dei quali di appena 13 anni. “Erano assuntori di stupefacenti – aggiunge il procuratore – e avevano sottratto della droga all’organizzazione. Sono stati quindi sequestrati e rinchiusi in due locali, picchiati e minacciati con le pistole. Solo l’intervento di un parente dei due ragazzini, anche lui arrestato, ha consentito che la situazione si appianasse prima di diventare drammatica. La paura di ulteriori ritorsioni ha spinto i due ragazzini a fare una denuncia. All’esito di quest’attività di riscontro, la compagnia di Reggio Calabria dei carabinieri ha consentito di delineare due organizzazioni che sono riferibili per contatti e una serie di rapporti con le cosche di ‘ndrangheta, pur non essendo stato accertato un collegamento diretto con le famiglie mafiose”.

Stando alle indagini, infatti, l’indagato Sarica si sarebbe incontrato con Giovanni Tegano e Alfonso Molinetti (non indagati), rampolli dei boss di Archi. Proprio i legami con questi ambienti, seppur non operativi, secondo il procuratore Bombardieri, hanno reso possibile l’operatività delle piazze di spaccio: “Questa indagine si collega anche a precedenti operazioni della Dda. Per esempio uno dei principali arrestati, Luigi Chillino, era a capo di un’organizzazione che a sua volta era in contatto con Maurizio Cortese, il reggente della cosca Serraino”.

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