Zitto zitto – anzi, zitto per nulla, visto che è tutto l’anno che piange, strepita, si lamenta – Antonio Conte è in finale di Europa League. La sua Inter ha battuto, di più, quasi umiliato anche lo Shakhtar Donetsk, terza avversaria di un trittico non propriamente irresistibile, ma pur sempre europeo: addirittura 5-0 in una semifinale internazionale, trascinata da due doppiette, quella di Lautaro, uomo partita almeno tanto quanto Barella, esaltante in mezzo al campo, e il solito Lukaku. L’altro gol non meno pesante lo firma D’Ambrosio. Ma più del risultato che non mente, forse persino più della finale che vale tanto, conta la prestazione. Forse la migliore stagionale, la più completa, la più matura. Sempre in controllo della partita, e della sua idea. Senza mai rischiare (quasi) nulla, dominando fisicamente, mentalmente, tatticamente. Come fanno le squadre di Conte.

Se contro il Bayer Leverkusen l’Inter aveva azzannato la partita, asfaltando i tedeschi per mezz’ora, segnando due gol che avrebbero potuto essere il doppio e poi amministrando, stavolta in semifinale l’approccio è stato diverso. Perché diversa era la squadra di fronte. Abituata a vincere, non solo il campionato ucraino, con regolarità, ma anche in Europa: la Coppa Uefa del 2009, ma anche la semifinale del 2016, ottavi e quarti in Champions. Soprattutto abituata a giocare. Anima metà latina e metà slava, allenatore portoghese, fantasisti brasiliani, mentre l’ossatura difensiva è il blocco della nazionale ucraina. La formula, niente di magico, che ha fatto la fortuna della squadra di Donetsk. Un po’ meno stasera.

L’Inter comincia con la consueta aggressività, che però stavolta si traduce soprattutto in recupero palla, ripartenza. I tre mediani nerazzurri (e questa è la grande differenza con Eriksen, che non a caso siederà ancora in panchina fino quasi al 90’), controllano, asfissiano i tre trequartisti brasiliani avversari. È uno schema già visto con successo in stagione, quando a un certo punto Conte era stato accusato di giocare in contropiede. Le sue squadre sono senz’altro molto di più, ma funziona anche con lo Shakhtar. Dall’inizio alla fine.

Così, dall’ennesimo rilancio sbagliato del portiere Pyatov, dall’ennesimo pallone recuperato di Barella, nasce il vantaggio che sblocca la partita: cross perfetto dalla destra del gioiellino azzurro, grande stacco e colpo di testa di Lautaro, di nuovo, finalmente decisivo dopo un lungo periodo di appannamento. Il gol incanala il match esattamente sui binari studiati da Conte. Lo Shakhtar continua a macinare gioco. Minuti interminabili di giropalla, alla ricerca di una combinazione che però i nerazzurri intercettano, coprono sempre. Quando cresce il palleggio avversario aumenta giusto un po’ l’affanno, ma persino Lautaro se serve copre come un interno. Un gran tiro di controbalzo dalla distanza di Marcos Antonio, alto di poco, è l’unico pericolo del primo tempo. Un colpo di testa di Junior Morais quello della ripresa, questo sì per davvero, ma il brasiliano per una volta dimenticato dalla difesa nerazzurra centra Handanovic dal dischetto.

Sembra il momento migliore degli ucraini ed invece è quello in cui l’Inter chiude la partita: su angolo, nato su cui D’Ambrosio trova l’inserimento vincente. Di colpo, la manovra ucraino-brasiliana si sgretola contro quella che stavolta pare una corazzata nerazzurra: nel giro di una manciata di minuti l’Inter va ancora in rete con Lautaro. Poi, quando anche Lukaku nella sua uscita peggiore da mesi segna un’altra doppietta si capisce che è davvero una serata storica. Dieci anni dopo la notte del Bernabeu, l’Inter è di nuovo in una finale europea, e poco importa è che è l’Europa di Serie B, in questa strana versione agostana. Troverà il Siviglia, la regina d’Europa League, che questa coppa l’ha vinta tre volte di fila tra il 2014 e il 2016. L’Italia, invece, non la vince da 21 anni, dal grande Parma di Malesani. Adesso ci riprova l’Inter, che è finalmente l’Inter di Antonio Conte.

Twitter: @lVendemiale

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