E’ una notizia triste, ma che va data. Con la fine di Temptation Island finisce anche la storia della tivù italiana. E’ successo tutto in pochi decenni. Durante gli anni ’90 faceva molto chic, parlando di televisione, citare l’intellettuale tedesco Hans Magnus Enzensberger che scrisse che la Tv trasmette sempre e dovunque la stessa cosa: il nulla.

Spiegava che la tv è una specie di stupefacente, qualsiasi cosa ti manda in onda dopo un po’ è tutto uguale, perché sei in una specie di mondo parallelo, una specie di Nirvana. Mezzo addormentato, la testa crollata, con la bocca un po’ aperta e un filetto di bava, brutto da vedere e ancora di più da descrivere.

E’ un po’ quello che succede in banca quando ti consigliano gli investimenti ed entri in una vertigine in cui non capisci più nulla e investi tutti i tuoi risparmi nei bond argentini, o che succede davanti al riparatore cinese di cellulari quando ti spiega che non sa cos’è la fattura elettronica o quando guardi tutto il Tg1, che alla fine sai tutto, ma non hai capito, appunto, nulla.

Insomma, il nulla allora era un sentimento, una metafora, uno stato patologico. Nessuno lo interpretava in maniera letterale, il nulla materiale, il niente fisico. A quello ci stiamo arrivando adesso e quello che dicono quelli che non la amano – “in tv non c’è più niente” – non sarà più un paradosso.

Nel lontano 1995 Angelo Guglielmi e Stefano Balassone spiegavano che le sei reti che c’erano allora erano troppe, per avere una tv di qualità dovevano esserci tre, al massimo quattro reti su cui investire, perché la tivù costa. Purtroppo del loro pensiero è rimasto solo il mantra “la tivù costa”. Oggi si fa il varietà, ma senza il balletto perché costa. Senza grande scenografia perché la scenografia costa e costa anche lo scenografo, per cui facciamola fare all’assistente.

Anche costumisti e costumiste costano, allora gli abiti facciamoli scegliere all’ex-soprano ricollocato dopo che è stata smantellata l’orchestra (perché costa). Anche i comici, meglio toglierli, in effetti costano, per non parlare di cantanti e musicisti che non costano solo se in promozione. Nel 2019 in Italia sono state censiti 421 canali televisivi che si dividono quello che una volta era spartito da quei sei che dicevamo. Come direbbe Marco Travaglio: siamo alla scissione dell’atomo.

E’ una storia che ricorda “Quello che perde i pezzi” di Giorgio Gaber:

Perdo i pezzi ma non è per colpa mia
se una cosa non la usi non funziona
ma che vuoto se un ginocchio ti va via
che tristezza se un’ascella ti abbandona.

Che rimpianto per quel femore stupendo
ero lì che lo cercavo mogio mogio
poi dal treno ho perso un braccio salutando
mi dispiace che c’avevo l’orologio.

Ahi, ahi, ahi!

In questo perdere i pezzi c’è rimasto l’unico genere che non costa, il talk: una persona intervista un’altra persona, quanto può costare? Deve arrivare gratis, ma non basta. Una volta veniva preso a casa o all’aeroporto da un’auto con autista, ma la cosa è ormai è eliminata perché costa.

Usare la propria auto o meglio, fare l’autostop. Anche pasticcini e frutta in camerino costano, allora meglio invitare l’ospite a farsi un toast alla stazione o una bella merenda, pane burro e marmellata, a casa, per arrivare in studio “già mangiati”. Ormai anche l’ospite è mal sopportato e ci si sta avvicinando al metodo Oriana Fallaci che in un famoso libro intervistò se stessa.

Grazie al Covid-19 ora non c’è più nemmeno il pubblico, che costa anche lui, perché, a volte, gli è purtroppo offerto il caffè delle macchinette. Di tutto quello che c’era rimane il “faccione” dell’intervistatore che, purtroppo, costa più di tutto il resto. Ci basta in questa televisione che perde i pezzi?

Con quel poco che c’ho ancora me la cavo
non mi muovo ma ragiono molto bene
ora c’ho praticamente un gran testone
e un testicolo per la riproduzione.

Ecco perché Rosario Fiorello ha annunciato il suo ritiro. Spiace per il pubblico. La tivù dovrebbe mandare un messaggio a casa di allegria, speranza di un futuro migliore, proprio adesso dopo la pandemia. Non aspettiamo però che in onda vada il niente assoluto. Fermiamoci prima.

Chiudiamo tutto e lanciamo un appello al primo ministro Giuseppe Conte: invece del bonus vacanze, del bonus bici o monopattino, variamo il bonus Netflix. Oppure destiniamo a Fiorello una parte del Recovery Fund per suo ultimo show. Perché per fare televisione ci vogliono i soldi, la tivù costa!

Guarda quello lì, c’ha
ancora una tibia. Che invidia.

Ahi, ahi, ahi!

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