La Consob ha disposto la proroga d’ufficio del periodo di adesione dell’offerta pubblica di scambio volontaria totalitaria promossa da Intesa Sanpaolo su Ubi per altri due giorni: si concluderà il 30 luglio e non martedì 28 come previsto. Secondo Intesa “le ragioni di tale provvedimento sono da ricondurre a taluni comportamenti tenuti da Ubi Banca nel corso dell’Offerta (…) configurabili nella diffusione di messaggi non idonei a fornire una completa e corretta informativa ai propri azionisti”. Intanto le adesioni all’offerta sono salite oltre il 50% grazie all’apporto, nella giornata di lunedì, di oltre il 18,82% del capitale di Ubi, il dato più alto dall’avvio dell’opas. Da ultimo, in serata ha comunicato l’adesione il fondo Silchester, che detiene l’8,5% del capitale di Ubi Banca.

In vista della chiusura dell’offerta, Ubi in Borsa ha fatto registrare un tonfo dell’8,82%, a 3,326 euro mentre Intesa ha ceduto lo 0,77% a 1,801 euro, allontanandosi dai valori dell’offerta. Il calo è spiegato dal fatto che i titoli di Ubi acquistati sul mercato da oggi non potranno più essere apportati all’opas di Intesa Sanpaolo e dunque non sono più supportati dal premio implicito nel concambio, pari al 44,7% rispetto alla valutazione precedente il lancio dell’operazione. Gli analisti di Equita, che è anche advisor di Cà de Sass, nel ribadire il loro consiglio ad aderire all’ops prevedono che da oggi il titolo Ubi “cominci a sottoperformare in maniera significativa” con un rischio di ribasso “superiore al 40%”.

Negli ambienti finanziari, intanto, si ritiene “molto probabile” che l’offerta raggiunga il 66,67% di adesioni e, probabilmente, vada anche oltre. Una quota che consentirà a Intesa Sanpaolo di garantirsi il controllo dell’assemblea straordinaria e procedere alla fusione con Ubi e alla vendita degli sportelli a Bper. L’offerta sarà comunque efficace con le adesioni al 50% più una azione del capitale di Ubi.

L’offerta ha già incassato l’adesione dei grandi soci come le Fondazioni Crc (5,9%) e Banca del Monte di Lombardia (3,9%), di Cattolica (1%) e del patto dei soci bresciani (8%), mentre quello degli azionisti bergamaschi ha deciso di lasciare libertà di scelta. Oltre ai grandi soci, Intesa Sanpaolo guarda con grande interesse anche ai piccoli azionisti, molti dei quali, nell’ultima settimana, ha deciso di vendere per evitare le pastoie burocratiche delle procedure di conferimento. Si tratterebbe, in particolare, di una quota del 15% ceduta ai fondi arbitraggisti che puntano sostanzialmente a guadagnare sulla differenza tra il prezzo d’acquisto e il concambio dell’operazione (1,7 azioni Intesa per ogni titolo Ubi più la componente in denaro pari a 0,57 centesimi in contanti).
C’è poi l’incognita di Parvus (7,9%), che non si è mai sbilanciato sulla decisione da prendere.

Per coloro che hanno deciso di restare fedeli a Ubi, invece, ci sarà un concambio che non incorpora nessun premio di maggioranza e nemmeno la componente in denaro. Se l’operazione andrà a buon fine nascerà un gruppo bancario che prevede un utile non inferiore a 5 miliardi di euro nel 2022. L’ammontare degli impieghi sarà di circa 460 miliardi di euro, i ricavi pari a 21 miliardi di euro. L’obiettivo di Cà de Sass è quello di “creare un grande gruppo capace di rafforzare il sistema finanziario italiano e di ricoprire il ruolo di leader nello scenario bancario europeo”, ha più volte ribadito il ceo del gruppo Carlo Messina.

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