Poiché è tempo di esami di laurea, sia pure in modalità virtuale, per Milan-Parma sarei tentato dall’esercitarmi nel collaudato e dilagante rito giornalistico delle pagelle. Ma finirei per cliccare i tasti nel fiele, e la lingua che utilizzerei sarebbe maligna assai, a differenza dei corifei che dispensano voti generosi sui fogli dei giornaloni e delle gazzette, giacché – lo insegnò Flaiano – si salta sempre sul carro del vincitore. Perciò evito l’equivoco esercizio critico del giudizio sancito dai numeri, che già infettano il calcio e le sue tattiche.

Per la cronaca spicciola, i giocatori rossoneri hanno vinto la quinta partita delle sette disputate sinora dopo la lunga sosta Covid (le altre due le hanno pareggiate), mostrandosi ostinati nel continuare la loro encomiabile serie positiva post confinamento: mercoledì sera a San Siro hanno infatti battuto 3-1 i rivali emiliani che avevano osato segnare per primi con Kurtic quasi allo scadere del primo tempo, uccellando – come si suol dire – Donnarumma, nella circostanza un poco torpido. Epperò, al ventunenne portiere rossonero va il merito di essersi riscattato e di non aver combinato letali pasticci, vuoi perché gli tiravano sempre addosso (fortuna e senso della posizione), vuoi perché peggio della partita di Napoli sarebbe stato assai difficile e comunque non si è fatto passare la palla sotto le gambe.

Inoltre, è stato anche fortunato quando il Parma, in contropiede, dopo aver travolto la difesa milanista, ha colpito la traversa. Gigio… mi viene in mente Nino Manfredi quando interpretava gli spot della Lavazza con la vecchia Natalina che si ritirò a 95 anni dopo essere stata affiancata e poi sostituita dalla giovane Gegia: “Il caffè è un piacere. Se non è buono, che piacere è?” Lo slogan ebbe una geniale evoluzione: “Più lo mandi giù, più ti tira su”. Come il Milan.

E tuttavia, contro il Parma il Diavolo ha faticato e rischiato, mostrando amnesie preoccupanti in difesa e un Ibrahimovic statuario, bravo nelle intenzioni, pessimo nelle finalizzazioni e patetico nei lenti movimenti. Gioca di fisico, grande grosso e cattivo com’è, ma oggi non basta il brand a segnare gol. Tantomeno serve brontolare in campo coi compagni, se non ti hanno servito e riverito come pretendi sempre. Caro Ibra, occorre sfoderare l’inesorabile progressione traversale di Carro Armato Kessié che scaglia un proiettile imprendibile da trenta metri all’incrocio dei pali e segna il gol più bello del turno.

Bisogna inzuccare mirando giusto come ha fatto il Capitano (alias Romagnoli). È necessario, anzi indispensabile, ogni tanto cogliere il bersaglio che in fondo misura in larghezza più di sette metri, e in altezza quasi due metri e mezzo, per segnare come è capitato al Turco Chala (alias Chalanoglu). Mercoledì sera Dio Zlatan ci ha provato ma ha sempre sbagliato e quando gli è riuscito di centrare la rete, ha colpito Sepe, il portiere del Parma, nel senso che lo ha sballottato, un fallo che l’arbitro non ha punito e che il Var ha ignorato… In mala serata Leao, così così, al di sotto della sufficienza, Riccio Croato (al secolo Rebic). Per fortuna c’erano in gran spolvero Jack (Bonaventura) e Cavallo Pazzo Hernandez.

Il terzino maratoneta ha scorrazzato come suo solito avanti (bene) e indietro (maluccio), ma ha sempre messo in crisi gli avversari, fra i quali ha primeggiato il ventenne Dajan Kulusevski, centrocampista della nazionale svedese che la Juventus ha comprato dal Parma, ma gliel’ha lasciato in prestito tanto che i compagni lo chiamano già Kulujuve.

Magari l’avesse preso il Milan. La squadra rossonera ha invece riproposto un usato (quasi) sicuro, il redidivo argentino Biglia, schierato nel primo tempo come teorico baluardo della difesa e regista di centrocampo per impostare l’attacco: una scelta immagino dettata dall’emergenza. Un rientro opaco, che sa di languido tango d’addio. Ha sopperito alle pigre coperture bigliesche il dissuasivo Muro Danese, ossia il biondo e bravo Kjaer fresco di riscatto. L’ha voluto Paolo Maldini che di difensori se ne intende e che alla proprietà del Milan invece piace poco, tanto che c’è aria di divorzio. Un pezzo del grande Milan che si vuol mettere in soffitta.

Come se i ricordi, quindi i confronti, mettano più paura che orgoglio. Il regno del disdoro… Per il momento, la classifica non rende giustizia al Milan di questa forsennata ripresa del campionato: è appena sesto a pari merito col Napoli, raggiunto a quota 53: piazzamento che garantisce l’Europa League, la Coppa dei delusi. All’Italia spettano tre squadre in questo gruppo, la terza è la Roma, che vanta 57 punti. Il gap che separa le tre di Europa League dal quartetto di Champions (Juve, Atalanta, Inter e Lazio) è enorme, tra Roma (quinta) e Inter (quarta per il momento), ci sono 11 punti.

I numeri non ingannano. Solo la Roma, vincesse tutte le cinque partite che restano da disputare, potrebbe sperare di raggiungere il quarto posto, sempre che Juve (77 punti), Atalanta (70), Lazio (69) e Inter (68 ma deve giocare, al momento in cui scrivo, con la Spal, fanalino di coda della classifica) le perdessero tutte. Un sogno bellissimo. Ma impossibile. Di sogni, nel calcio come nella vita, però si vive e ci si illude. Persino gli androidi sognano pecore elettriche.

Curioso: i nomi delle quattro squadre che andranno a disputare la Champions non sono quelli delle loro città. Al contrario delle squadre di Europa League. Forse vuol dire qualcosa. O forse no. È il solito gioco dei destini incrociati. I Romani credevano che nei nomi fosse celato un presagio. Ma non giocavano al calcio.

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