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di Monica Valendino

Invalidità al 100 per cento dopo l’emergenza che ha visto decreti governativi elargire bonus più o meno ovunque, mentre tu sei costretto a supplicare che i tuoi genitori sopravvivano il più a lungo possibile perché con 290 euro mensili devi sopravvivere. “Storie di tutti i giorni, vecchi discorsi sempre da fare. Storie ferme sulle panchine in attesa di un lieto fine”, cantava Riccardo Fogli.

Storie, ognuna diversa dalle altre ma con i soliti minimi comuni denominatori: l’infelicità, la preoccupazione, la speranza (che tutto finisca presto). Storie di chi l’invalidità non è un modo per fregare lo Stato, ma una condizione. Storie di chi nasce con patologie magari non evidenti e dove, in una gara tra sfortunati, ci si piazza meglio perché mentre il corpo non risponde (anche se deambula), il cervello funziona.

Storie: nascere con un genoma particolare, la sindrome di Klinefelter, conosciuta anche come sindrome XXY, caratterizzata dalla presenza di un cromosoma sessuale X in più nelle persone di sesso maschile. Sopravvivere confidando che tutto si può tenere sotto controllo, in fondo. Mentre la vita scorre via in apparente normalità, tra tristezze e malinconie e la consapevolezza che non è la “tua vita”, si costruisce comunque una storia. Studi, laurea, amori finiti male ma che in futuro riempiranno l’anima di ricordi di un’esistenza cancellata. Perché arriva il giorno in cui allo specchio non ti rivedi più, decidi di dire basta, costi quel che costi. E il prezzo è altissimo, nessuno te lo spiega davvero quanto possa costare.

I dolori per le terapie, il corpo che “esplode”, le prime rabbiose ostentazioni, i primi pregiudizi, gli amici che se ne vanno, la tua storia che pian piano appassisce come una rosa, le relazioni più strette che si fanno drammatiche perché nonostante l’amore dei genitori la sofferenza è tanta anche per chi ti sta vicino e non c’è nulla che ti aiuti a lenire il loro dolore.

Alla fine la battaglia viene apparentemente vinta. Ma la guerra è là fuori con una nuova vita fondata sulle esperienze passate, gli studi, le speranze. Diventare giornalista, poter fare quello per cui fin dalle elementari tutti ti dicevano di perseguire.

La vita però non è la stessa: pregiudizi, amici che se ne vanno, quotidiane risatine e, negli occhi degli interlocutori, il sospetto. Ma anche qui la volontà poi ti porta a vincere, speri di avercela fatta. Ma è un fuoco di paglia. Nuovo dolore, nuove recriminazioni.

Contemporaneamente scopri un’invalidità, di quelle “vere”. Sindrome di Asperger, questi nomi sconosciuti che poi si traducono facilmente: forma di autismo. Il tuo corpo che inizia a non rispondere più a certe situazioni, la routine che diventa dogma perché ogni piccolo rumore sembra un frastuono nel tuo cervello, l’impossibilità a ritrovare quella vecchia “normalità” che ti ha accompagnato per anni, prima di cominciare una guerra che nessuno ti ha chiesto di fare.

La diagnosi e i medici che sentenziano: 100 per cento invalido. Le aziende che piuttosto che ottemperare agli obblighi di legge preferiscono pagare una più conveniente penale, le tue conoscenze, le tue passioni, la tue competenze chiuse nel cassetto. Cerchi ancora di alzarti in qualche modo, ma il cielo non è sempre più blu. Anzi è plumbeo e alla fine decidi di arrenderti.

Sei sospeso tra quei 290 euro e l’impossibilità (più per gli altri) di darti una nuova possibilità. La paura che aumenta, un virus che ti fa pregare di non rimanere solo, un virus che, nonostante tutto, fa meno paura del futuro. Che arriva e vede un mondo che appare sempre più folle, sempre più insofferente verso gli altri, sempre più egoista. Tutti che reclamano qualcosa, tutti che protestano per qualcosa. Piazze piene anche per i diritti sociali, mentre molti si sentono comunque dimenticati.

A questo punto non si chiede però ancora qualcosa di materiale. Si chiede che il governo metta mano su quella “maledetta” legge sul fine vita. A qualcuno può bastare.

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