Il Parlamento comincia a muoversi per sanare il vulnus legislativo sull’ergastolo ostativo. Dopo la raccolta firme promossa nei mesi scorsi dal Fatto Quotidiano e dal fattoquotidiano.it per chiedere un intervento legislativo successivo alla sentenza della Consulta, la commissione parlamentare Antimafia ha approvato un’approfondita e dettagliata relazione.

Il dossier di San Macuto è relativo all’articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario e le conseguenze della sentenza n. 253 del 2019 della corte Costituzionale, che aveva dichiarato inammissibile la preclusione ai permessi premio per chi non collabora con la giustizia anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità della partecipazione all’associazione criminale. All’interno della relazione si dettagliano due ipotesi di riforma e alcune linee guida per fornire criteri ai magistrati di sorveglianza chiamati a decidere sulle istanze di permesso premio presentate dai condannati e soprattutto per reati associativi, per delitti mafiosi e di criminalità organizzata, eversiva o terroristica e per traffico di stupefacenti.

Morra: “Dovere del legislatore intervenire” – La relazione, approvata il 20 maggio scorso e con l’astensione dei principali gruppi di minoranza, è stata al centro oggi della conferenza stampa del presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, e del senatore Pietro Grasso e della deputata del M5s Stefania Ascari, membri di Palazzo San Macuto e relatori del documento. “E’ dovere del legislatore intervenire in maniera tempestiva e adottare ogni misura necessaria per la sicurezza delle persone, dei nuclei sociali e delle comunità, elaborando norme che assicurino la protezione contro il crimine organizzato. Ci aspettiamo che governo e parlamento facciano proprio questo documento tramutandolo in norma usando i criteri in esso contenuti”, ha detto il presidente Morra. “La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto incompatibili con i diritti fondamentali l’istituto dell’ergastolo ostativo che vieta permessi premio e sconti di pena per i mafiosi che non collaborano con la giustizia: viene spazzato via il fine pena mai”, ha aggiunto il presidente di San Macuto, aggiungendo che “l’indebolimento sistema penitenziario volto al superamento del 4bis dell’ordinamento penitenziario, che fu voluto da Falcone, oggi è un dato molto preoccupante e mette a repentaglio anni di lotta alla mafia e alla criminalità organizzata”.

Le due ipotesi: corti territoriali o un tribunale centrale – Il senatore Grasso, invece, ha spiegato le due ipotesi di riforma. La prima: attribuire al tribunale di sorveglianza territoriale la competenza per le istanze di permesso premio presentate dai condannati e dagli internati per reati associativi, per delitti mafiosi e di criminalità organizzata, eversiva o terroristica e per traffico di stupefacenti. Quest’ultima soluzione sarebbe assicurata da un giudizio collegiale e rafforzata anche dalla presenza dei componenti esperti non togati e dalla partecipazione all’udienza della pubblica accusa. La possibilità di valutare eventuali reclami sarebbe poi affidata alla Cassazione. L’ex procuratore nazionale Antimafia ha spiegato che i detenuti per reati di mafia “sono circa 9mila, per questo dare a tutto il territorio nazionale questa competenza di decidere sarebbe un carico notevole. La magistratura di sorveglianza per definizione è una magistratura che si definisce di prossimità, cioé molto vicina a coloro che amministrano la posizione carceraria. Trasferire dal singolo magistrato, che può non avere tutti gli strumenti per decidere, al tribunale di sorveglianza per i reati associativi, mi sembra una soluzione migliore”. L’altra ipotesi proposta all’interno della relazione è quella di prevedere una giurisdizione esclusiva da parte del Tribunale di Sorveglianza di Roma, dunque la concentrazione ad un unico tribunale a competenza nazionale, in merito alla valutazione dell’accesso ai benefici penitenziari, con la possibilità di fare reclamo che sia valutato da una corte di appello di Roma integrata dalla presenza di esperti oppure direttamente il ricorso in Cassazione.

La relazione: “Dopo Cedu e Consulta nuove soluzioni normative” – Nel lavoro della Commissione Antimafia si sottolinea che la “presunzione assoluta di pericolosità del soggetto condannato per taluno dei reati elencati 4bis dell’ordinamento penitenziario superabile esclusivamente dalla condotta collaborativa, ha costituito un meccanismo fondamentale nel processo di smantellamento delle organizzazioni criminali”. A seguito delle sentenze della Cedu e della Consulta, “la trasformazione della presunzione assoluta di pericolosità in presunzione relativa”, secondo la Commissione Antimafia “non può che essere supportata da nuove soluzioni normative“.

Il doppio binario per concedere i permessi premio – Secondo la Commissione occorre fissare un doppio binario a seconda dei reati per i quali è avvenuta la condanna e si propone che per i reati “connessi con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva” gravi sul condannato “l’onere di fornire allegazioni, basate su elementi fattuali precisi, concreti ed attuali, dell’esclusione del mantenimento dei contatti con l’organizzazione mafiosa e del pericolo di ripristino”. Secondo la Commissione Antimafia si tratta di elaborare dei “criteri” in base ai quali la magistratura di sorveglianza possa procedere ad una verifica per decidere sull’eventuale accesso ai benefici penitenziari. Secondo la Commissione “l’istanza di concessione dei benefici non potrà essere generica, ma dovrà contenere una ‘specifica allegazione degli elementi che comprovino le condizioni richieste; in assenza di tale specifica allegazione, la magistratura di sorveglianza potrà dichiarare inammissibile l’istanza”. Nella relazione si legge: “Altri elementi e circostanze che la magistratura di sorveglianza potrà e dovrà valutare ai fini della concessione dei benefici possono essere, a titolo esemplificativo: il perdurare o meno della operatività del sodalizio criminale; il profilo criminale del condannato e la sua posizione all’interno dell’associazione; la capacità eventualmente manifestata nel corso della detenzione di mantenere collegamenti con l’originaria associazione di appartenenza o con altre organizzazioni, reti o coalizioni anche straniere; la sopravvenienza di nuove incriminazioni o significative infrazioni disciplinari; l’ammissione dell’attività criminale svolta e delle relazioni e rapporti intrattenuti; la valutazione critica del vissuto in relazione al ravvedimento; le disponibilità economiche del condannato all’interno degli istituti penitenziari nonché quelle dei suoi familiari; la sussistenza di concrete e congrue condotte riparatorie, anche di natura non economica”. Tra gli altri argomenti da tenere in considerazione, l’applicazione di una delle circostanze attenuanti previste della norme o “l’intervenuta adozione di provvedimenti patrimoniali ed il loro stato di concreta esecuzione”.

“Dati su condizioni cliniche nel fascicolo del detenuto”- Quindi ecco le proposte. “Al fine di garantire un’adeguata circolarità delle informazioni e di favorire il lavoro dei magistrati di sorveglianza, anche in ragione dei trasferimenti dei detenuti da un carcere all’altro”, la Commissione propone “che nei confronti di tutti i condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis, comma 1 dell’ordinamento penitenziario sia efficacemente implementato il fascicolo elettronico del detenuto o dell’internato (Sidet), nel quale, tra l’altro, dovrebbe confluire la cartella clinica digitale, al fine di consentire ai medici che lo prendono in carico di conoscere in tempo reale le condizioni di salute del detenuto o dell’internato, senza attendere il passaggio dei dati dalla Asl di provenienza”. In più “dovranno essere conseguentemente previste adeguate misure che garantiscano l’aggiornamento e la completezza del fascicolo, affinché i dati contenuti possano essere adeguatamente valorizzati dal magistrato e/o dal tribunale di sorveglianza, oltreché dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, ai fini delle pertinenti valutazioni sulla concessione dei benefici penitenziari. Nella relazione si sottolinea che, anche alla luce del lavoro svolto e di quanto avvenuto nel corso dell’emergenza Covid, si è manifestata la necessità di uno specifico futuro approfondimento da parte della Commissione sul “tema del potenziamento della sanità penitenziaria”.

Il precedente e la raccolta firme del Fatto – La relazione dell’Antimafia, come detto, arriva dopo la raccolta firme del Fatto Quotidiano che chiedeva al Parlamento d’intervenire su un pericolo vulnus. Nell’ottobre del 2019, infatti, la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 4 bis comma 1 dell’Ordinamento penitenziario “nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo”. Si è di fatto creato un buco normativo sanabile solo con l’intervento del legislatore che approvi una nuova norma che stabilisca parametri e principi fissi da seguire per concedere o negare i permessi agli ergastolani “ostativi”. La relazione di Palazzo San Macuto è il primo passo: ora la palla passa al Parlamento.

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