Conclusa la fase 1 del contenimento dell’epidemia si passa alla fase 2. Cosa possiamo aspettarci? Le epidemie, ogni tanto, vengono: appartengono al sistema ecologico del pianeta che ospita noi insieme ai virus. Ne sono venute prima di questa, e ben più gravi e ne verranno dopo. La letalità del vaiolo poteva raggiungere il 40% dei casi e la malattia poteva colpire intere popolazioni se prive di immunità precedente, come accadde agli indigeni d’America durante la conquista spagnola.

Ciò che dalle epidemie precedenti abbiamo imparato è che la ragione per la quale una malattia infettiva guarisce è l’acquisizione dell’immunità da parte del malato, e che una epidemia finisce grazie all’immunizzazione di una frazione significativa della popolazione. Questo è anche il caso del Covid-19, ed è dimostrato non soltanto dal fatto che il 99% dei casi guarisce, ma anche dall’azione terapeutica del plasma di sangue dei convalescenti; ed è stato stimato che per far finire l’epidemia in corso sia necessario che diventi immune il 60-70% della popolazione. Può darsi che il cambiamento permanente di alcuni comportamenti più a rischio possa abbassare di un poco questa soglia.

Fatte queste premesse, quello che si poteva ottenere con le misure della fase 1 era un rallentamento dei contagi, che evitasse il più possibile il sovraffollamento delle terapie intensive. Ritardare il decorso dell’epidemia però la prolunga nel tempo, perché la popolazione non si immunizza. Queste considerazioni non sono né opinioni né valutazioni di merito su ciò che è stato fatto o ciò che si sarebbe dovuto fare: sono constatazioni. Ovviamente anche le misure più stringenti non possono arrestare l’epidemia immediatamente, né prevenire il 100% dei contagi: nonostante il severissimo lock-down del paese si sono avuti oltre 200.000 casi diagnosticati, oltre 30.000 decessi e probabilmente circa 3 milioni di casi inapparenti che potrebbero aver immunizzato circa il 5% della popolazione.

In pratica nella fase 1 abbiamo comprato tempo, pagandolo a carissimo prezzo in termini economici e sociali.

La principale ragione per la quale era necessario uscire dalla fase 1 era la sua evidente insostenibilità economica e sociale: i principali guadagni che abbiamo ottenuto sono l’aver imparato a curare meglio la malattia, l’aver ridotto il numero di casi attivi e quindi la velocità di propagazione (per ora) e l’esserci avvicinati (di poco) al momento in cui sarà disponibile un vaccino (forse alla fine dell’anno o all’inizio del 2021). Ridurre il numero di casi attivi potrebbe consentire nella fase 2 un migliore controllo della diffusione della malattia, con app, tamponi o altro e quindi una gestione che eviti il sovraccarico delle strutture ospedaliere; inoltre può darsi che l’estate sospenda o rallenti temporaneamente il corso dell’epidemia.

Gli esperti sono concordi sul fatto che una ripresa dei contagi, ora o in autunno, ci sarà, perché è improbabile che l’epidemia scompaia in assenza dell’immunizzazione della popolazione. Di certo non sarà possibile ripetere l’esperienza della fase 1: i costi e i danni sono troppo grandi e non si può sospendere la vita civile ed economica del paese a tempo indeterminato. Ciò che possiamo fare è usare ciò che si è imparato finora e consentire un controllato decorso dell’epidemia, proteggendo soprattutto le categorie più a rischio e aspettando il vaccino.

Un buon obiettivo aggiuntivo per la fase 2 potrebbe essere quello di uscire dalla morsa del panico e cominciare a ricostruire il tessuto economico e sociale del paese. Dopo tutto le statistiche ci dicono che circa il 30% di noi morirà di malattie cardiovascolari e il 25% di tumore; la mortalità ascrivibile al Covid-19 potrebbe, al massimo, approssimare quella delle malattie cardiovascolari nelle prime fasi dell’epidemia, per poi scendere ai livelli dell’influenza (un sessantesimo delle malattie cardiovascolari) se non sparire del tutto negli anni successivi. Vivere nel terrore del Covid-19 è ingiustificato.

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