di Gaetano Fausto Esposito*

Tra gli effetti del Covid-19 c’è la previsione di una drastica riduzione del commercio internazionale. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) valuta una contrazione tra il 13% e il 32% a seconda degli scenari. Un brutto, bruttissimo tonfo, anche perché le previsioni di recupero non porteranno alla prosecuzione del trend precedente.

Questi effetti sono dovuti anche all’interconnessione tra le produzioni manifatturiere, quelle che sono definite “catene globali del valore” (la scomposizione e ricomposizione del processo produttivo a livello mondiale) che hanno nell’Asia a guida cinese un punto di riferimento.

Andamento del commercio mondiale in volume (indice 2015 = 100) consuntivi e previsioni

Fonte: Word Trade Organization

Oggi circa i due terzi del commercio mondiale è fatto da input intermedi, che entrano nei prodotti e servizi finiti, la cui produzione dà lavoro a circa 450 milioni di persone. Quasi il 20% del commercio mondiale di prodotti intermedi viene dalla Cina, mentre nel 2002 questa quota era del solo del 4%.

Un esempio per tutti: il più classico e vicino è l’iPhone, fatto di centinaia di componenti, frutto di un processo che coinvolge imprese operanti in oltre trenta paesi, con circa 200 fornitori diversi, anche se alla fine poi l’assemblaggio avviene a Taiwan e in Cina.

Il lockdown cinese indotto dal Covid-19 ha creato grosse difficoltà nelle catene mondiali di fornitura manifatturiera, con un forte impatto anche in Europa dove ad esempio la Germania è tra i paesi che hanno un più forte collegamento produttivo con la Cina.

Il rallentamento del commercio mondiale avrà anche un effetto sul Made in Italy, con previsioni di riduzione delle vendite per l’anno in corso sui principali mercati di sbocco quali Germania, Francia, Stati Uniti, Spagna che da soli fanno circa il 40% del nostro export, e sono un riferimento per le Pmi.

Noi siamo un Paese manifatturiero che esporta tanti beni finiti, ma fornisce anche un contributo (non sempre visibile) alla sub-fornitura internazionale – specialmente in alcuni settori come la meccanica – con la produzione di beni intermedi. Ci potranno essere conseguenze del ridisegno delle catene del valore anche per questa parte del “Made in Italy invisibile”?

Uno degli effetti del dopo Covid-19 sarà di accorciare da un lato le catene del valore (portandole più vicino agli utilizzatori finali) e aumentare dall’altro la digitalizzazione dei processi produttivi. Già oggi diverse compagnie aeree trovano più conveniente ottenere pezzi di ricambio utilizzando i processi di stampa in 3D invece di approvvigionarsi fisicamente delle singole parti.

Questa tendenza crescerà, così come la ripartizione a livello internazionale riguarderà sempre più i servizi ad alto livello di conoscenza (quelli che sono definiti KibsKnowledge Intensive Business Service), rispetto alle merci: già lo scorso anno, mentre il volume dell’interscambio mondiale di merci è stato praticamente stazionario (-0,1%), quello dei servizi avanzati è aumentato di circa il 3%.

Le catene globali del valore si stanno quindi sempre più diffondendo sui servizi avanzati e sul mix tra tecnologia (digitale) e creatività per trovare soluzioni inedite e innovative. È una sfida positiva per il nostro paese.

Il Made in Italy manifatturiero è una combinazione di abilità produttive, capacità creativa e innovazione, valorizzato dalla cultura. Di fronte a difficoltà di medio periodo nel commercio internazionale di beni, una linea è di collocarsi diversamente nelle nuove catene del valore a forte intensità di conoscenza.

La chiave è allora di favorire l’orientamento, la formazione e l’inserimento lavorativo di quanti abbiano quelle competenze che Marco Magnani (autore di un recente saggio, Fatti non foste a viver come robot) considera alla base di una “convivenza intelligente” e creativa tra le persone e le macchine, e rispondono all’acronimo di Steam, mix di Science, Technology, Engineering, Arts, Mathematics.

Si tratta di aspetti su cui in Italia dobbiamo investire perché le recenti analisi dell’Ocse sulla “Strategia per le competenze” evidenziano diversi importanti spazi di miglioramento al riguardo. Da questo punto di vista serve un vero e proprio “umanesimo digitale”, fatto di tecnologia, abilità e cultura, anche nei servizi avanzati e il nostro Paese ha la storia e la tradizione per poter svolgere un ruolo importante pure in questa nuova fase di ridisegno dei contenuti delle catene globali del valore.

Alla vigilia di un necessario rilancio di investimenti strategici per il futuro, che saranno molto diversi dal recente passato, si tratta di un messaggio per orientare l’intervento (sia pubblico che privato) nella direzione dell’innovazione nei servizi, anche per quanto riguarda il Made in Italy.

* Segretario generale dell’Associazione delle Camere di commercio italiane all’estero e docente di Economia Politica all’Universitas mercatorum. E’ autore di numerosi saggi e volumi sui temi dell’economia finanziaria e dello sviluppo, dell’economia industriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Attualmente si occupa del ruolo dei processi fiduciari nello sviluppo economico e di economia della sostenibilità istituzionale. Gestisce anche un blog sull’Huffington Post.

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