Il Coronavirus sta causando un buco, se non una voragine, nei conti pubblici italiani. Per rattoppare tale buco, circolano varie proposte. In particolare aiuterebbe una qualche forma di rientro di capitali dall’estero, un nuovo scudo fiscale e condoni vari. Così Banca Intesa fantastica di “bond sociali, che offrirebbero rendimenti competitivi, sgravi fiscali e uno scudo penale per chi trasferisce capitali dall’estero. Si stima che 100-200 miliardi di euro dei risparmi italiani si trovano fuori dall’Italia”.

Merita precisare che non pochi ritengono immorale ogni sanatoria fiscale, indipendentemente da come denominata, perché la vedono come un premio agli evasori. Analogamente ritengono pretestuoso e persino indecente giustificare con il Coronavirus un nuovo condono edilizio. Sono critiche che hanno avuto una certa eco. Ma sorvoliamo pure su questo punto, cioè sugli aspetti etici della faccenda.

Quello che non dice praticamente nessuno è altro. Cioè che tali proposte servono solo ad alcuni soggetti (politici, economisti o banchieri) per far sfoggio di genialità, progettualità, spregiudicatezza ecc. Ma in realtà, messe in pratica, sarebbero del tutto inutili.

L’Italia ha offerto vari condoni ai capitali clandestini all’estero, anche se ipocritamente chiamati in altro modo. I vari scudi fiscali e poi la cosiddetta voluntary disclosure, cioè un’autodenuncia con sanzioni in parecchi casi molto annacquate. È vero che fecero rientrare soldi. Ma ciò avvenne innanzi tutto per il pedaggio irrisorio richiesto: dal 2,5% del primo scudo del 2001 al 5% dell’ultimo, a fronte di imposte evase anche oltre il 50%. Per lo scudo del 2009 e per la voluntary disclosure, furono poi determinanti gli accordi per lo scambio di informazioni fiscali fra Italia, Svizzera, Montecarlo, San Marino ecc.

La situazione attuale è diversissima. Non esiste più il tradizionale conto clandestino nella banca ticinese o monegasca dell’idraulico, dell’antiquario, del chirurgo evasori. I capitali illegalmente all’estero ora sono ben nascosti in opachi costrutti societari o sono inaccessibili alla curiosità del fisco italiano, perché nel Qatar, a Panama, nel Delaware ecc., magari per giunta intestati a prestanome. Figuriamoci se gli interessati li riporterebbero in Italia, per giunta con rigidi vincoli al loro impiego. Per di più ora con la prospettiva di un’uscita o di una fine dell’euro, prospettiva non imminente ma certo meno remota che pochi mesi fa.

Viene quindi gabellata per realistica un’idea da fanta-finanza: i costi del Coronavirus facilmente finanziati dagli esportatori di capitali trasformati in salvatori della patria, addirittura premiati con rendimenti competitivi. Tutti contenti, tutti felici. Ebbene, non sarà così. Non esiste nessuna soluzione indolore ai costi pesantissimi dell’epidemia.

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