La supposta manipolazione delle provette non è un fatto nuovo. È la motivazione con cui il tribunale federale di Losanna rischia di fatto di mettere la parola fine sulla carriera di Alex Schwazer. Il marciatore, oro olimpico a Pechino 2008, aveva chiesto l’annullamento della squalifica per doping comminatagli dopo la positività al testosterone rilevata in un controllo a sorpresa del primo gennaio 2016. I giudici svizzeri, riferisce il quotidiano ticinese La Regione, hanno respinto la tesi dei legali di Schwazer, secondo cui sarebbero emersi fatti nuovi dalle indagini in corso a Bolzano. La squalifica resta (8 anni) e la scadenza è fissata per l’estate 2024, quando il marciatore avrà 39 anni.

“Qui c’è un grosso malinteso, questa pronuncia non è niente altro che il procedimento cautelare che si era chiesto e c’è la sentenza che non lo riconoscono, non concedono la revisione. Non è stata pronunciata l’ultima parola. Ora attendiamo con fiducia che i gravi indizi vengano suffragati dal procedimento penale in corso a Bolzano“, commenta l’avvocato Gerhard Brandstaetter, il legale di Schwazer, all’Adnkronos. “Noi abbiamo provato perché c’era Tokyo in arrivo, speriamo ci sia la pronuncia prima dei Giochi posticipati al 2021“, aggiunge il legale.

“Alex sta bene, è tranquillo, perché sapeva che sarebbe stata rigettata, abbiamo letto le motivazioni, quindi non c’è nulla di nuovo e le motivazioni sono molto scarse. C’è di peggio ma questa è una ingiustizia sportiva, giuridica e morale che stanno mettendo addosso ad Alex, oramai si è capito”, sostiene Brandstaetter. “Vediamo se qualcuno confesserà, ma se non avremo una confessione speriamo che di fronte ad una manipolazione consolidata da una perizia qualcuno avrà il coraggio di dire che c’è una prova di manipolazione. Il perito ha già detto in udienza che la più accreditata è la manipolazione perché ci sono dei valori del dna che non sono fisiologicamente spiegabili, quindi qualcuno li dovrebbe spiegare, la Iaaf, il laboratorio di Colonia”, conclude il legale, facendo riferimento al laboratorio dove sono state eseguite le analisi e citando anche la Federazione internazionale di atletica, responsabile della detenzione delle provette che sono state consegnate agli inquirenti solo dopo un anno e mezzo.

A dicembre scorso, il Tribunale federale di Losanna aveva già respinto la richiesta di sospensione della squalifica. Schwazer ha deciso di ricorre contro gli otto anni di stop per doping decisa dal Tribunale arbitrale dello sport (Tas) nell’agosto 2016, alla vigilia delle Olimpiadi di Rio, dopo che il gip di Bolzano, Walter Pelino, ha considerato plausibile l’ipotesi della manipolazione delle urine usate per il controllo antidoping che portò Schwazer alla squalifica. Nell’ottobre scorso, dopo la consegna della perizia dei carabinieri del Ris, il giudice per le indagini preliminari ha disposto un ulteriore supplemento di analisi presso la Corte d’Appello di Colonia, nel procedimento penale contro il marciatore altoatesino, accettando la richiesta della difesa che sostiene da sempre l’ipotesi di complotto, basandosi sull’anomala concentrazione del Dna trovato nel campione di urine. Nell’ordinanza viene giudicato “plausibile anche se tutto da verificare” il movente di una possibile manipolazione delle urine per “punire” l’atleta e il suo allenatore, Sandro Donati. Entrambi hanno denunciato anche il doping di Stato della Russia e il ruolo del vecchio presidente della Iaaf, Amine Diack.

Per il Tribunale di Losanna però, recitano le motivazioni riportate dal Corriere della Sera, un fatto nuovo si verifica quando l’imputato “dopo la pronuncia della sentenza viene a conoscenza di fatti rilevanti o ritrova mezzi di prova decisivi che non ha potuto addurre nel procedimento precedente, esclusi i fatti e i mezzi di prova posteriori alla sentenza”. Invece “la pretesa manipolazione, di cui l’atleta si era invano avvalso più volte innanzi al Tribunale arbitrale, non costituisce un fatto nuovo. Anche la giurisprudenza più recente esclude la possibilità di avvalersi di referti allestiti dopo l’emanazione della sentenza di cui è chiesta la revisione”, concludono i giudici.

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