Non chiamatela guerra. Questo tempo di coronavirus è un’altra cosa”. A 75 anni dalla Liberazione, a ricordare il dramma del conflitto armato e la Resistenza sono i partigiani. In un momento in cui non sarà possibile scendere in piazza, gli uomini e le donne che hanno fatto la storia del nostro Paese lanciano un appello a non cancellare lo spirito del 25 aprile, a non dimenticare cos’è il conflitto armato e la parola libertà. Anche, implicitamente, una risposta al senatore Ignazio La Russa che nei giorni scorsi aveva chiesto di trasformare questa giornata in un momento di ricordo delle vittime del Covid-19 oltre che di tutte le guerre.

Non farei alcun paragone tra questo momento storico e quello che abbiamo vissuto. La guerra è colpa dell’uomo. Noi siamo stati in casa cinque anni con le bombe che ci piovevano addosso. Non si può parlare di guerra oggi. Il conflitto armato è tutta un’altra cosa”, spiega Giacomina Castagnetti, 95 anni e un passato da staffetta partigiana della pianura padana.

“Per me è come se fosse appena passato il 25 aprile del 1945. Questi 75 anni non si cancellano. Non voglio farne un monumento ma bisogna ricordare quello che è successo perché la guerra è la cosa più brutta che possa esserci. Io ne ho vissute due, ho cominciato a sentir parlare di guerra a sei anni e ho finito che ne avevo venti. Il 25 aprile, quando ho visto arrivare il carro armato degli americani , senza svastica, il mio istinto è stato quello di andare in casa e aprire le finestre. L’aria è sinonimo di vita. E’ una data che non dimenticherò mai: è stata la prima volta che ho sentito parlare di democrazia, libertà, rispetto per la persona umana”. Ma Giacomina chiede qualcosa in più a tutti: “La democrazia va annaffiata ogni mattina. Solo così possiamo difenderla”.

Giglio Mazzi, classe 1927, non vuole che si definisca guerra il coronavirus ma non nasconde l’ansia che prova a vivere un 25 aprile sotto la minaccia di un virus: “Questa situazione non è una guerra, si fa fatica a definire. Anche durante il conflitto armato c’era la necessità di star nascosti ma allora sapevamo chi fosse il nemico ora non lo conosciamo: è invisibile. Girando per strada c’è tutto questo silenzio: non è mai successo, nemmeno durante la guerra. Forse oggi ci turba ancor più. Siamo completamente impreparati e indifesi. Sembriamo tutti appestati. Non c’è modo di difendersi”.

Giglio, nome di battaglia “Alì”, capo nucleo di un distaccamento Gap che ha operato in particolare nelle zone comprese fra Reggio Emilia, Rubiera, Castellazzo, fino al pedecollina, ferito in azione il 1 gennaio 1945, non dimentica nulla: “La Liberazione è la data che ricorda tutta la nostra epopea, fa rivivere i sentimenti e i momenti gloriosi. I miei compagni sono tutti morti, per me resta una data sacra, non posso e non voglio scordare”. E ai ragazzi così come ai suoi figli non si stanca di ripetere che “la libertà non è una cosa per tutti, per sempre. La libertà va difesa, acquisita giorno per giorno. La libertà è un grande bene, il bene supremo che bisogna conservare”.

Lo sa bene anche Simona Agassi, la più piccola partigiana d’Italia che andava a trovare la madre, la partigiana Dorina Storchi, in carcere e portava nascosti tra i capelli e l’orlo degli abiti, delle comunicazioni per i prigionieri: “Senza questo passato non saremmo qui adesso. Credo sia un dovere di tutti fare memoria. Sergio Mattarella, oggi, è la nostra àncora. Se la libertà fosse solo quella di andare spasso saremmo messi male. La libertà è la libertà di pensiero, di spendere bene il proprio tempo”. Simona non risparmia nemmeno una critica al senatore di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa, che nei giorni scorsi aveva chiesto di trasformare questa giornata in un momento di ricordo delle vittime del Covid-19 e di tutte le guerre: “La libertà è quella di festeggiare il 25 aprile che qualcuno vorrebbe non farci più onorare. In questo momento storico dobbiamo stare attenti, la dittatura non si esprime più alla Mussolini ma ha altre forme di espressione: la dittatura è quella di Viktor Orbán, di Tayyip Erdoğan. Chi ha fatto la Resistenza ci ha regalato la libertà e sono pochi i ragazzi che capiscono cosa bisogna portare avanti. Resistenza è migliorare la comunicazione con i più giovani, fare proselitismo per la giustizia sociale. Non siamo vaccinati per sempre”.

Per Giacomo Notari, 93 anni, il 25 aprile è un ricordo triste. Orfano di madre all’età di cinque anni, da giovanissimo è testimone di diversi episodi di uccisioni di innocenti da parte dei fascisti. A 17 anni, dopo l’8 settembre 1943, decide di diventare partigiano e, con il nome di battaglia di “Willi”, entra nella 145esima Brigata Garibardi “Franco Casoli”, seguendo il fratello Giuseppe, di un anno più grande, che cade in combattimento l’11 marzo 1945. “Ogni anniversario della Resistenza è una festa ma per me – spiega il partigiano – ma è anche il ricordo di mio fratello. Quel giorno di 75 anni fa ho accompagnato dei tedeschi a piedi fino a Reggio Emilia e li ho consegnati agli americani”.

Ora, dopo essere stato assessore provinciale, sindaco e presidente dell’Anpi provinciale di Reggio Emilia, si gode l’orto a Marmoreto di Busana ma non dimentica di tirare le orecchie alla politica e non solo: “La scuola e la società non si danno da fare abbastanza per ricordare. Non c’è un grande sforzo da parte dei nostri politici, c’è un abbruttimento, le cose si ripetono. Noi ormai siamo vecchi. Ci vorrebbe più entusiasmo. La libertà va difesa ogni giorno attraverso la partecipazione”. E su La Russa aggiunge: “Sappiamo da che parte sta, per lui il 25 aprile è una disgrazia”.

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