La Rai in questo periodo particolare registra dati positivi per quanto riguarda i due fondamentali parametri delle imprese Tv, gli ascolti ed il bilancio.

Gli ascolti sono aumentati dall’inizio dell’emergenza sanitaria: si sono distinte le fiction ed ovviamente i programmi d’informazione, a partire dal Tg1 della sera e dagli speciali legati all’epidemia. Quest’ultimo dato conferma che il pubblico vede ancora la Rai come una sorta di ‘istituzione’ alla quale affidarsi, almeno inizialmente, quando ci sono gravi calamità. Il risultato positivo degli ascolti è condizionato dal fatto che la quarantena, com’era prevedibile, ha ampliato di molto la platea televisiva (vedi grafico): +20% gli ascoltatori medi giornalieri nel mese di marzo rispetto allo scorso anno, si è così invertita la tendenza che vede da diversi anni un costante calo del pubblico televisivo (-8% negli ultimi dieci anni).

Anche il bilancio, secondo quanto riporta la stampa specializzata, torna in equilibrio ribaltando la previsione negativa di pochi mesi fa. Ciò avviene in quanto l’emergenza sanitaria fa diminuire diversi costi di gestione (è prerogativa delle imprese dello spettacolo avere in prevalenza costi variabili), diminuzione che compensa ampiamente il calo dei ricavi pubblicitari. In particolare incide il rinvio di importanti eventi sportivi e dei relativi costi per i diritti, il rinvio delle produzioni di fiction, la diminuzione delle trasferte e così via.

Ad emergenza finita, per la Rai la situazione cambierà, con il pubblico televisivo in discesa e con la necessità di effettuare consistenti investimenti, si troverà quindi ad affrontare i problemi che il Coranavirus ha “coperto” e solo rimandato.

La competizione fra i tre principali operatori (Rai, Mediaset e Sky) si acutizzerà ancor più, anche per frenare l’emorragia del pubblico dal grande schermo verso il web. I costi per i diritti riprenderanno a lievitare perché solo con i grandi eventi (dal calcio alle serie Tv ed alle fiction) si conquista il pubblico. Nel contempo le Tv dovranno convivere con l’handicap che la pubblicità difficilmente aumenterà, data la crisi economica ed il crollo dei consumi delle famiglie a seguito del Covid. Per cui la forbice fra costi e ricavi tenderà a dilatarsi a vantaggio dei costi.

Quale sarebbe la conseguenza? Gli spazi di mercato, già ora ristretti, si restringerebbero e potrebbe conseguirne che tutti gli operatori contrarrebbero gli investimenti per la programmazione (per il sistema-calcio e per l’industria dell’audiovisivo sarebbe un duro colpo ove si riducesse l’entità dei contratti), con la possibilità che una Tv ‘povera’ allontani la ripresa della pubblicità; oppure, ipotesi più probabile, che uno dei tre operatori si ridimensioni.

Toccherà alla Rai ridimensionarsi? L’azienda pubblica è quella che ha il carico maggiore dei costi fissi (ad iniziare dall’elevato numero del personale), ma ha anche il vantaggio dell’introito certo da canone. Potrebbe anche “salvarsi” se accentuasse la programmazione commerciale, ma si salverebbe come impresa non come pubblico servizio.

Il secondo grafico dà indicazioni quasi premonitrici. La società Auditel, da un po’ di tempo, pubblica ogni settimana le visualizzazioni dei device suddivisi per editore (in sostanza si tratta del numero di visioni dei programmi televisivi ritrasmessi sui vari apparati digitali di comunicazione). È pur vero che siano i giovani in prevalenza ad utilizzare le varie piattaforme, ma il grafico illustra bene quale sia la gerarchia su questo segmento fra gli operatori televisivi, la Rai è al terzo posto.

L’errore del vertice dell’azienda pubblica è stato quello di non aver favorito, sulla spinta dell’emergenza, la nascita della “Nuova-Rai” rifondando la programmazione; i migliori critici televisivi ritengono che sia la solita “Vecchia-Rai”.

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