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Decreto liquidità, servirebbe un bel ripasso delle regole del problem solving

Decreto liquidità, servirebbe un bel ripasso delle regole del problem solving
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Il decreto liquidità, come ho già sostenuto, per me è stato finora un fallimento della capacità del governo di affrontare una emergenza e di risolvere il “problema” della sopravvivenza delle piccole imprese del nostro paese. E non è responsabilità delle banche.

La finanza, per quanto diabolica possa essere, è comunque più veloce a rispondere tempestivamente alle esigenze straordinarie dettate dal coronavirus. I suoi provvedimenti e le sue decisioni, per quanto sbagliati possano essere, non conoscono la burocrazia della politica che permette alle banche di – e non è un complimento – continuare a fare le banche.

Ad ogni modo perché tanta inefficienza nella gestione di tale “problema”? Lo voglio chiedere a voi, cari lettori, attraverso l’analisi di uno degli strumenti basici della gestione manageriale di una organizzazione: il problem solving. Il problem solving è la più complessa di tutte le funzioni cognitive e consiste nell’abilità di trovare una soluzione a qualsiasi tipo di problema. E’ un bravo problem solver colui che sa affrontare qualsiasi tipo di situazione e sa risolvere le difficoltà che incontra nel percorso che lo porta alla realizzazione dei propri obiettivi.

Un “problema” può essere definito come una qualsiasi variazione fra ciò che è previsto in uno standard concordato (obiettivo) e ciò che sta accadendo nella realtà (consuntivo). Ad esempio, il governo voleva dare un aiuto alle imprese (obiettivo) e invece finora nessuno ha ricevuto un euro (consuntivo).

Il metodo più comunemente utilizzato nel processo di soluzione del “problema” prevede otto fasi:

– Identificare (capire) il problema. Il 70% degli insuccessi dipendono da questa fase perché non si riesce a focalizzare l’attenzione sul vero “problema”;

– Analizzare il problema. E’ la fase più lunga e consente di scoprire le cause, le ragioni del problema, capire perché si è verificato. E’ la fase in cui si deve cercare di ottenere quante più informazioni possibili;

– Generare soluzioni valide. In questa fase scatta la fantasia, l’immaginazione. Talvolta, sempre che sia valida, la soluzione potrebbe essere pure quella di non far nulla;

– Valutare le alternative attraverso l’analisi costi-benefici. E’ la fase in cui c’è bisogno dei “tecnici”, degli “esperti” e delle “task forces”;

– Scegliere la soluzione giusta. E’ la fase che fa la differenza tra un manager/politico scarso e un manager/politico bravo;

– Ottenere l’autorizzazione (dal capo, dal Parlamento, ecc). E’ la fase che si tende ad evitare quando non si è certi di aver fatto bene le fasi precedenti;

Implementare. Significa azione, realizzazione, fare! Occorre curare con attenzione tale fase perché potrebbe inficiare l’intero processo anche qualora la soluzione sia quella giusta;

Monitoraggio del piano fino ad ottenere il risultato desiderato. E’ la fase di verifica della soluzione del problema. Se nonostante l’implementazione ci accorgiamo che sussiste lo sfasamento tra obiettivo e consuntivo, allora occorre ripartire dalla fase 1 e magari renderci conto che il problema era un altro. Secondo voi in quale fase ha fallito il governo?

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