Riaprono le fabbriche, a cominciare da quelle di armi. Non a pieno regime, bensì solo con un centinaio di dipendenti, ma la Beretta in Val Trompia – dopo aver riaperto già due settimane fa il dipartimento di prototipazione per realizzare valvole per i respiratori – ha ripreso la produzione, che evidentemente viene considerata strategica ai fini nazionali. Il sindacato dei metalmeccanici di Brescia monitora la situazione per garantire la sicurezza ai lavoratori. “Siamo relativamente tranquilli nelle aziende più grandi, dove la rappresentanza sindacale c’è. E’ molto più difficile scoprire gli imprenditori che fanno i ‘furbetti‘ nelle aziende minori. C’è sempre chi prova ad aggirare le norme”, dice Stefano Olivari, segretario della Fim-Cisl di Brescia, una provincia in cui è forte la presenza di aziende meccaniche.

Dopo il decreto che ha prorogato al 13 aprile la sospensione delle attività produttive non essenziali, la vigilanza sindacale si fa più serrata. “Giungono voci da alcune vallate di tentativi di aprire comunque, magari puntando sulla difficoltà dei controlli. Ed è in quelle realtà che si cercano di forzare le norme riguardanti i codici Ateco che classificano le attività economiche. La forte preoccupazione che abbiamo in merito al decreto riguarda proprio i codici che sono inadeguati a definire una filiera, a stabilire se un’azienda vi rientra”.

Prove di riapertura tra Prefetture che devono coordinare il flusso delle richieste, imprese che cercano di forzare la mano e mettere le autorità di fronte ai fatti compiuti e rappresentati sindacali. “Intanto bisogna distinguere le richieste delle aziende in due diverse categorie. – spiega Francesco Bertoli, segretario provinciale della Cgil e dei metalmeccanici della Fiom – Ci sono quelle (le imprese funzionali ad assicurare le attività delle filiere essenziali e gli impianti a ciclo produttivo continuo, ndr) a cui è sufficiente una dichiarazione inviata al Prefetto, salvo diniego se non ricorrono le condizioni per la riapertura…”. E poi? “Ci sono quelle che, in base alla lettera h del decreto, devono attendere l’autorizzazione preventiva”.

Per ognuna di queste situazioni ci sono controlli diversi. In provincia di Brescia, nel primo gruppo sono state presentate poco più di 4mila richieste, soprattutto piccole e medie aziende che comunicano la ripresa della produzione. Finora ne sono state controllate circa 600. Nella categoria delle autorizzazioni preventive rientrano al momento circa 400 domande. “Di queste ne sono state evase 150, il prefetto incarica la guardia di Finanza dei controlli. Negli altri casi c’è anche il coinvolgimento della Camera di Commercio”.

I furbetti? “Ci sono, in qualche caso siamo riusciti a bloccare anticipatamente le dichiarazioni secondo cui le aziende rientravano in una filiera, ma non corrispondeva alla verità. – rivela il segretario della Fiom – Perché la tentazione di forzare a mano c’è. E qualche impresa che riuscisse a passare farebbe da apripista alle altre”.

Cosa può fare il sindacato in questi casi? Segnalarli, ma a sua volta le organizzazioni dei lavoratori devono essere avvertiti dalle rappresentanze interne. Il filone delle autorizzazioni è in buona parte burocratico e richiederà del tempo per effettuare tutti i controlli. “E’ importante invece il lavoro sul rispetto del protocollo di sicurezza che prevede norme molto rigide per quanto riguarda mascherine, igienizzazione degli ambienti di lavoro e rispetto delle distanze nelle fasi di lavorazione. – aggiunge Stefano Olivari – Su questi aspetti c’è molta sensibilità da parte dei lavoratori, perché hanno paura di rientrare in fabbrica”. Proprio facendo leva su questo timore diffuso, i sindacati (che stanno istruendo i rappresentanti sulle norme), fanno appello ai lavoratori perché segnalino irregolarità. “Se emergono problemi, siamo pronti a presentare denuncia ai carabinieri. Perché la ripresa, quando ci sarà, deve avvenire in condizioni di sicurezza e di serenità”.

E la strategia delle grandi imprese? Aldo Bonomi è amministratore delegato delle omonime rubinetterie bresciane, un gruppo con quattro aziende e 650 dipendenti. A fine febbraio aveva fatto girare un video all’insegna dello slogan “Noi non abbiamo paura”. Non ci fermiamo, ci crediamo, andiamo avanti perché da noi “l’unica cosa contagiosa è l’ottimismo”. Poi si sono fermati anche loro. Adesso si prova a ripartire. “Gli uffici sono già in smart working – spiega Bonomi – e puntiamo a riaprire quella parte di azienda riconducibile alle filiere autorizzate. Mi riferisco al valvolame per gas e acqua o a forniture per società pubbliche. Si può andare dal 20 al 30 per cento del totale”. I decreti vi soddisfano? “Innanzitutto va ribadito che serve la giusta cautela, non vanno fatti errori e la salute va tutelata. I decreti hanno il limite di non differenziare le imprese più collaudate e strutturate che anche sulla sicurezza danno maggiori garanzie di altre”.

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