Due punti del decreto sulla chiusura delle fabbriche non essenziali che lasciano troppi spazi di manovra e un elenco modificato in corsa, allungato rispetto agli accordi, accusano i sindacati, dopo quelle che Palazzo Chigi stesso ha definito “numerosissime richieste” delle aziende che “invocavano il carattere essenziale” delle loro attività. Così monta di nuovo la protesta degli operai di fronte a un provvedimento che in diversi casi demanda la chiusura alla responsabilità delle aziende o, al massimo, all’intervento dei prefetti. E poi quell’elenco, recitato come un rosario dalla segretaria della Cisl, Annamaria Furlan, di attività che resteranno aperte, ma non erano previste nelle prime versioni e sarebbero state inserite su “pressioni” di Confindustria: “Trattori, elettrodomestici, apparecchi cinematografici, tutte le materie plastiche non solo quelle per uso sanitario e farmaceutico”. Così le maglie allargate del decreto sulla chiusura delle fabbriche, deciso per prevenire il contagio da coronavirus, capovolgono il mondo: gli operai e i sindacati urlano di chiudere gli stabilimenti, gli industriali spingono per lasciarne aperti quanti più è possibile.

L’elenco modificato “last minute” – L’accusa rivolta a Confindustria e al governo è proprio questa: aver aggiunto, ricamato, inserito “last minute” nell’elenco di produzioni essenziali segmenti che sabato non erano stati concordati. Tra i settori scomparsi c’è, ad esempio, la fabbricazione di prodotti in metallo, ma il via libera è stato esteso a tutto il comparto meccanico, che nelle bozze prevedeva solo la filiera legata agli apparecchi elettromedicali o all’agro-alimentare. Sono spuntati tra domenica mattina e le prime ore del pomeriggio, fino a pochi minuti prima della firma del presidente del Consiglio. L’effetto – è l’allarme dei sindacati del chimico-tessile – è quello di “depotenziare” il decreto e di “ridurre ai minimi termini il numero delle lavoratrici e dei lavoratori che potranno rimanere a casa”. Il motore produttivo del Paese, insomma, per i rappresentanti dei lavoratori è tutt’altro che “al minimo”, come aveva annunciato Giuseppe Conte sabato sera.

Il settore aerospazio e Difesa – E sono tornati immediatamente gli scioperi: fermi in queste ore gli operai di Leonardo, Ge Avio, Fata logistic System, Lgs, Vitrociset, Mbda, Dema, Cam e Dar. Già nelle scorse ore Fiom, Uilm e Fim avevano chiesto, prima della ripartenza, la “verifica” delle condizioni di sicurezza alla luce della nuova stretta e di quanto previsto dal protocollo firmato con Confindustria il 14 marzo. Di fronte all’indisponibilità delle aziende, è scattata l’astensione dal lavoro. Nel decreto è il punto H a prevedere l’essenzialità del settore, definito di “rilevanza strategica” per l’economia nazionale.

Le ambiguità della siderurgia – Il decreto prevede anche la prosecuzione degli impianti a “ciclo produttivo continuo”, come molti gli stabilimenti siderurgici. Sul punto i sindacati non hanno nulla da eccepire: come dimostra plasticamente la battaglia sull’ex Ilva di Taranto, lo spegnimento di un altoforno significa in buona parte dei casi danneggiarlo irrimediabilmente. ArcelorMittal ha deciso comunque di ridurre al minimo le colate giornaliere e di chiudere l’Acciaieria 1 mettendo in cassa integrazione 521 dipendenti. Ma la genericità del punto G del decreto permette anche di tenere aperti in via teorica anche tutte le altre acciaierie del Paese, da Piombino a Genova, nessuna delle quali produce con altoforni. È il caso di Arvedi a Cremona, dove sono in funzione forni elettrici: “L’azienda sta manifestando l’intenzione di continuare. Eppure parliamo di un impianto che ogni anno ad agosto ferma la produzione per un mese”, dice il segretario generale della Fiom Lombardia Alessandro Pagano a Ilfattoquotidiano.it. Stessa posizione per Marcegaglia che ha diversi impianti di laminazione in Lombardia, compreso uno, a Boltiere, nella Bergamasca, aperto fino al 24 marzo.

Il caso della BiTicino – Il numero uno dei metalmeccanici lombardi della Cgil parla di un sostanziale “passo indietro” perché in regione, già negli scorsi giorni, erano stati raggiunti accordi che il decreto smaterializza: “Sta accadendo a Varese, dove aveva trovato un’intesa con BTicino per lo stop. Ma il decreto permette all’azienda di continuare la produzione e ci giunge voce che l’intenzione sia esattamente quella. Un clamoroso autogol – spiega – perché esistono cicli continui che non subiscono danni da un fermo di una, due settimane. Invece la genericità del decreto permette a tutti di continuare”.

Mercoledì lo sciopero (anche del chimico-tessile) – Così mercoledì i metalmeccanici della regione più colpita hanno già proclamato uno sciopero di 8 ore. Non saranno soli. Lo stesso hanno fatto i sindacati lombardi Filtem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec nelle aziende del settore chimico, tessile, gomma-plastica che non hanno produzioni essenziali e di pubblica utilità. L’aver inserito nelle attività “d’impresa – denunciano – da considerare essenziali una serie di attività di vario genere che di essenziale non hanno nulla, depotenzia il decreto e crea l’effetto di ridurre ai minimi termini il numero delle lavoratrici e dei lavoratori che potranno rimanere a casa”. E alla protesta si accodano anche gli operai metalmeccanici laziali.

E si agitano anche i bancari – Alzano la voce anche i lavoratori delle banche, inserite tra i servizi che devono restare aperti. Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin preparano la mobilitazione della categoria, a partire da martedì, e minacciano lo sciopero. I segretari generali in una lettera spedita questa mattina all’Abi, a Federcasse, a tutte le banche, e, per conoscenza, al presidente del Consiglio, denunciano come “i dipendenti del settore, tra i quali si registrano molti casi di positività al coronavirus, non operano in condizioni di sicurezza”, senza mascherine, guanti e disinfettanti. I leader ricordando di aver “espresso una forte e unitaria richiesta di chiusura, per almeno 15 giorni, di tutti gli sportelli bancari, che oggi rappresentano purtroppo punti di diffusione del contagio”. Ma, sottolineano, “a tale richiesta ci avete risposto negativamente”.

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Sono le Venti (Nove), Fracassi (Cgil): “Attività ‘essenziali’? L’elenco delle imprese era inferiore. Poi tra sabato e domenica è successo qualcosa”

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