di Marilen Osinalde

Roma, 30 marzo: 20 giorni di quarantena e isolamento. E ancora non sappiamo con certezza se tutto continuerà dopo il 3 di aprile e fino a quando. Mi ero abituata a sentire il piccolo vicino giocare e strillare all’ora del bagno, ora sento solo silenzi e pianti. Le bimbe che giocano sulla terrazza di fronte mi salutano quando mi vedono affacciata alla finestra e mi invitano a unirmi ai loro giochi.

Intanto, un amico bloccato all’estero per lavoro non può tornare a casa e racconta di come la figlia di cinque anni gli chieda tutti i giorni di rientrare, e lui non sa cosa rispondere. Viviamo una situazione complessa non solo per l’epidemia, ma anche per le sue conseguenze sulla nostra salute mentale.

Come psicologa e psicoterapeuta con tanti anni di lavoro con i minori, so che i bambini non sono una delle popolazioni più a rischio per il coronavirus, ma sono i più vulnerabili a livello emozionale. Il mondo intero si è fermato, le persone hanno paura e i bambini chiusi in casa non vedono il sole, non respirano aria fresca e rimangono chiusi a inventarsi giochi fra quattro mura.

L’Italia, assieme alla Spagna e all’Argentina, è fra gli unici Paesi al mondo che, oltre ad aver chiuso parchi e spazi pubblici, non prevede un “diritto di passeggiata” per i bambini e le loro famiglie. Persa la libertà, i più piccoli hanno bisogno di un attento accompagnamento per affrontare questo cambiamento.

Bisogno di ascolto

“Mi sento in trappola”, dice la figlia di un’amica al telefono: l’isolamento, senza misure per mitigarlo, può avere conseguenze gravi. I più piccoli non hanno la capacità di capire come un adulto che quello che si è perso si può anche recuperare. Ci guardano, imparano dai grandi che li circondano e vedono il mondo come noi glielo mostriamo. È fondamentale che i genitori creino momenti di condivisione, che siano presenti con un ascolto attivo e aperto, permettendo che i bambini esprimano liberamente le proprie sensazioni: hanno bisogno di sentirsi capiti e accolti nell’eventuale malessere.

Devono sentirsi appoggiati, sapere che sentire paura, di questi tempi, è la cosa più naturale che ci sia. Gli adulti devono saperli ascoltare, anche se questo può essere scomodo, perché confrontarsi con quello che un bambino sente può risvegliare altre sensazioni spiacevoli, la tristezza, l’incertezza, la paura e la rabbia che stiamo provando.

Esprimere tutto questo è umano e salutare. Molti credono che se non si manifestano paura e disperazione, allora non esistono. Non è così, e nasconderle sotto il tappeto non le elimina.

Le spiegazioni necessarie

Non sapere spaventa. Siamo circondati da una minaccia invisibile ma reale, e l’incertezza ci schiaccia. Per un bambino che non riceve l’appoggio adeguato, questo causa uno stress pericoloso per il suo sviluppo, o addirittura un trauma psicologico. Un bimbo lasciato davanti alla televisione ad assistere alla conta dei morti in tempo reale soffrirà enormemente. Va evitato questo contagio da parte dei media che vomitano informazioni terribili e difficili da processare.

Il mio nipotino di cinque anni, per esempio, gira per la casa con un casco per difendersi da – mi dice – “un mostro cattivo che sta fuori”. Da soli, i piccoli non sono in grado di dimensionare la minaccia, né di distinguere i pericoli prossimi da quelli remoti.

Viviamo una situazione difficile da spiegare anche fra adulti, tante sono le risposte che ci mancano. Eppure dobbiamo essere capaci di far capire ai nostri figli che non si può uscire, che non si possono vedere amici e parenti, che non abbiamo idea di quando dovranno tornare a scuola ma che intanto è meglio fare i compiti di matematica.

Se non sappiamo cosa dire di fronte alle domande di un bambino, è meglio chiedere cosa sanno loro, cosa pensano di quello che sta succedendo e di cosa hanno bisogno, prima di iniziare ad arrampicarci sugli specchi. In generale i bambini sanno quello che necessitano, quello che non sanno è esprimerlo con chiarezza. E ricordiamoci che spesso un abbraccio è sufficiente perché un bambino spaventato si tranquillizzi: non scaccia la paura ma gli mostra che c’è chi lo accompagna.

I bambini hanno bisogno di organizzazione

Infine, dobbiamo ricordarci che i bambini vivono il tempo in maniera diversa. Stare chiusi in casa tre settimane per loro equivale a un’eternità. In questo caso creare una routine è un buon aiuto: svegliarsi sempre alla stessa ora, suddividere i compiti all’interno della famiglia, cercare un minimo di continuità. Questo permette al bambino di organizzarsi internamente e rimanere più tranquillo. Servono anche attività che aiutino a scaricare la tensione: cantare, meditare, dipingere, qualsiasi cosa che permetta di esprimere la sua creatività e divertirsi.

Più si sentono accolti e sicuri, più i bambini riposano e sviluppano una capacità di auto-tranquillizzarsi, anche in una situazione stressante come questa quarantena. Non ci sono ricette, ma tanti piccoli accorgimenti che ci aiutano a vivere meglio.

In tempi di crisi, noi adulti dobbiamo prima di tutto affrontare le nostre emozioni, per poi poter essere in grado di aiutare i nostri figli e accompagnarli. La salute mentale si ripercuote su quella fisica, e saper gestire i nostri sentimenti e malessere è decisivo. Per i bambini, attraversare tutto questo in un ambiente sano eviterà conseguenze sul loro sviluppo.

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