Il cuore del problema

Sulla base dei dati dallo studio “Il fabbisogno di personale medico nel Ssn dal 2016 al 2030” condotto nel 2016 dall’Associazione Medici Dirigenti (Anaao), il 20 marzo 2019, Quotidiano Sanità titola così: “Da qui al 2025 mancheranno almeno 16.500 medici specialisti”. Già solo il titolo chiarisce un punto importante: l’Italia non soffre di una carenza strutturale del personale medico e sanitario in generale; la grave insufficienza pesa sulle discipline mediche specialistiche.

Questa dovuta precisazione serve per tornare criticamente sull’opinione diffusa che, se si vuole coprire il fabbisogno di personale medico, vada abolito il numero chiuso. La logica di questo approccio è evidente: se mancano medici, servono più laureandi, che sono in numero insufficiente per via delle barriere all’ingresso, motivo per cui, vista la situazione, il test non ha ragione di esistere.

Eppure, i dati delineano un’altra realtà: il sistema accademico dell’area medica non funziona non perché non assecondi il sogno di carriera delle molte aspiranti matricole – traguardo irraggiungibile, peraltro, viste le domande che negli ultimi anni si aggirano tra le 65 e le 70mila – bensì, in prima battuta, per l’insufficiente disponibilità di finanziamenti e borse di studio per gli specializzandi (fig. 1 e 2).

Ma quali sono le cause che hanno accelerato o rischiano di compromettere ulteriormente la carenza del personale medico in questione, oltre alla scarsità di fondi? Ad aggravare quello che all’interno dello studio Anaao è definito “imbuto formativo e lavorativo” sono le recenti misure adottate in materia di pensioni: l’introduzione di “Quota 100”, prevede Quotidiano Sanità il 20 marzo 2019, unita ai numeri del pensionamento ordinario, potrebbe incidere non poco nel determinare un esodo di circa 52.000 medici specialisti nel quinquennio fino al 2025. Stando ai dati del 2015 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), l’età media ospedaliera italiana è la più alta d’Europa con 55 anni.

Considerato che la risposta naturale al pensionamento è l’assunzione, ma che su questo fronte l’Italia ha un turnover vincolato, il ricambio generazionale risulta ostacolato. Il vincolo più stringente è rappresentato dall’imposizione del titolo di specializzazione come requisito necessario di accesso al lavoro nel Sistema Sanitario Nazionale (Ssn). L’Anaao avverte: “Fino a quando la Legge non consentirà l’ingresso del medico non specialista in ospedale, per formarlo in quella sede, come in tutto il mondo occidentale, il Ssn non ha alcuna autonomia nella definizione del proprio fabbisogno futuro”.

Non è possibile, poi, trascurare l’impatto negativo della fuga dei medici italiani all’estero sul sistema Paese. Nelle conclusioni del report 2016, l’Associazione Medici Dirigenti stima il danno economico come il costo di formazione del singolo: si parla di 150mila euro a medico. Più recentemente, nel settembre 2019, il Sole24ore alza la stima del costo pro capite fino a 250mila: data una media di 1500 emigrazioni registrate ogni anno, il danno economico è di circa 350 milioni. E, per citare nuovamente lo studio dell’Anaao: “Ovviamente il danno non è solo economico. Noi perdiamo talenti, intelligenze, saperi professionali, sottratti per incuria alla sostenibilità qualitativa del nostro Ssn e più in generale allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese”.

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