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di Cristina Zibellini

Quando ho saputo che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, avrebbe fatto un intervento, sabato sera, l’umore pesante si è attenuato. Il mio stato d’animo si era fatto via via più cupo, nel constatare che, di fronte a un contagio sempre più diffuso, almeno nei territori della Lombardia e delle regioni del Nord, una parte delle istituzioni locali lanciavano urla che mescolavano richieste a minacce.

I pensieri si facevano confusi, nonostante una condizione di isolamento personale del tutto privilegiata. Una confusione che in realtà esprimeva lo sconforto di fronte alla constatazione di una difficoltà a raccordare le azioni, anche in regioni con governatori più seri, e di informare i cittadini sulla capacità o meno di interventi capillari. Le ordinanze non prevedono a tutt’oggi i tamponi né eventuali esami sierologici a soggetti venuti in contatto con positivi, se non con sintomi evidenti.

In quel sabato di esecrabile battage ideologico, l’insieme di questi elementi materializzava nei miei pensieri, uno scenario in cui il virus avrebbe vinto per la debolezza della politica.

L’intervento del Presidente mi è sembrato anche troppo moderato, ma mi ha comunque dato la certezza che c’è un gruppo di persone con responsabilità enormi che sta cercando di mantenere il rispetto di tutti, persino di quelli che colpevolmente non rispettano la regola di stare a casa, evitando polemiche e cercando la strada della risposta. Anche la trasmissione di Lucia Annunziata, il giorno dopo, ha contribuito a restituirmi un po’ di fiducia nei confronti dei nostri simili. L’importanza per me, da cittadina, di poter credere che, chi ha un ruolo decisivo, stia operando in tutte le articolazioni di questa crisi, senza perdere di vista un piano, nonostante lo sciacallaggio quotidiano di giornalisti e sedicenti politici che non offrono veri spunti di riflessione critica.

Un giornalismo che non faccia sconti a chi governa e un’opposizione che abbia qualche ideale avrebbe cercato, per dire, di mostrare la criminosa gestione dei call center e avrebbe potuto indagare e denunciare una situazione che riguarda altri ultimi degli ultimi di nazionalità cinese che, a Prato, lavorano senza avere un alloggio e in questa crisi potevano anche rappresentare un enorme pericolo. La morte del giovane che a Roma lavorava in un call center ora è scandalo su tutti i giornali, ma questi lavori non sono uno scandalo in ogni giorno dell’anno?

Entrambe queste omissioni dimostrano quanta indifferenza ci sia alla vita degli altri e alle inadempienze dei governi, prima e in tempo di pandemia. E quanto il conflitto politico, indispensabile linfa della democrazia, sia stato da tempo sostituito da un insopportabile protagonismo propagandistico di uso e consumo mediatico.

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