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di Andreina Fidanza

La storia personale della mia famiglia con la città di Bergamo è associata indissolubilmente dalla condizione patologica dei nostri due figli, Davide e Diego, gemelli di undici anni diagnosticati autistici. Una storia iniziata per caso grazie alla “rete”, a internet, e grazie alla passione calcistica di un nutrito gruppo di ragazzi della bergamasca e del mio compagno: tifosi della squadra londinese dell’Arsenal. Una storia che attraverso i contatti sui forum, sui social, e le prime conversazioni telefoniche sfociò nella programmazione di una gara di solidarietà organizzata dal club, gli Italian Gooners, nel giugno del 2015, quando nella provincia di Bergamo, a Comun Nuovo, venne allestito un torneo di calcio a 7 intitolato ai nostri bambini.

A prendervi parte tutta la Bergamo capace di stringersi e di non lasciare sola una famiglia in lotta costante con le problematiche derivanti dalla patologia. Tifosi e appassionati dei più importanti club della Premier League si spesero in una giornata di sport, comunità e solidarietà che scaldò i cuori, che accese in noi la speranza di poter finalmente mettere in pratica quelle terapie atte ad offrire un futuro migliore ai nostri figli. Da quel giorno nacquero amicizie sincere, senza secondi fini, sentimenti capaci di superare barriere e confini. Al di la della passione per il calcio la disabilità di Davide e Diego ebbe la forza di unire persone, di metterle in contatto, di porre al centro l’amicizia, la comunione d’intenti, la solidarietà. Di spogliare l’animo umano e di farci incontrare, come fosse un segno del destino, persone che ci cambiarono letteralmente la vita, che la cambiarono ai nostri figli. Persone che misero il prossimo, il debole, i così detti ultimi davanti a quel superfluo che la storia recente ha purtroppo considerato prioritario nella vita di ognuno di noi.

In questi ultimi cinque anni, grazie al pensiero continuo di coloro che hanno preso a cuore la nostra condizione, le esperienze vissute sono state molteplici, così come le gare di solidarietà e quella presenza costante che ci ha fatti sentire meno soli, accompagnati nel nostro cammino, in questo infinito viaggio.

Oggi, in piena emergenza da coronavirus, il mio pensiero, il pensiero di tutta la mia famiglia non può che essere costantemente rivolto a Matteo, a Giacomo, a Massimo, a Ilario, a Flavio e Rachele, a tutti quei ragazzi che in questi giorni, in queste ore stanno vivendo qualcosa che mai e poi mai avrebbero pensato di vivere. Un pensiero che mischia preoccupazione e speranza, lacrime e impotenza, quella che in queste ore ci tiene lontani da persone che per noi hanno fatto molto e che noi oggi invece, tranne lo stare a casa nella nostra città, nulla possiamo fare.

E proprio i loro racconti, le storie che quotidianamente leggiamo attraverso il nostro gruppo WhatsApp, le comunicazioni private che con alcuni di loro intratteniamo ci fanno immergere in un mondo difficile da spiegare, soprattutto difficile da comprendere, perché la differenza tra l’esserci e lo stare in un’altra regione fa davvero tutta la differenza del mondo. Nelle loro parole, attraverso le emozioni che lasciano trasparire si incontrano distintamente la rabbia mista a paura, lo sgomento, la difficoltà quotidiana nel reggere il peso di una pandemia che ha colpito conoscenti, amici, parenti e che inevitabilmente sta provocando ferite, traumi, condizioni psicologiche che nel tempo risulteranno difficili da rimuovere.

A Bergamo si piange, si soffre, e nonostante una tempra che da sempre contraddistingue gli abitanti di quella meravigliosa zona d’Italia c’è chi anche solo per un attimo viene sopraffatto dallo sconforto, con l’irreale paura di prendere in mano il cellulare.

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