C’era una volta un pizzaiolo che voleva aprire una pizzeria. Aveva due amici, a cui chiese un prestito. Ma i soldi non erano sufficienti, e dovette chiederne anche a un tizio che non conosceva. Il tasso di interesse era abbastanza basso, l’impresa sembrava promettente.

Ma il pizzaiolo si rivelò pigro e trascurato. Invece di darsi da fare per restituire il debito, fece pizze di scarsa qualità e non risparmiò nulla. I suoi creditori si allarmarono (temevano di non rivedere i risparmi che gli avevano dato sulla fiducia), ed incominciarono a rimproverarlo in modo molesto: guarda che così finisci male, devi mettere in ordine i conti e fare pizze migliori.

Il pizzaiolo rimase sordo, ed anzi manifestò molta irritazione per questi rimproveri, che secondo lui limitavano la sua libertà, e se la prese con i cattivi creditori che, sempre secondo lui, volevano rovinarlo. Anzi, parlò con un suo amico laureato in economia all’università di Cheine di Sopra, che gli spiegò: “Non devi restituire nulla, anzi devi spendere di più abbellendo e ingrandendo il locale, e vedrai che arriveranno un sacco di clienti e tutto si sistemerà per il meglio”.

Il pizzaiolo fu subito entusiasta del consiglio (spendere gli piaceva moltissimo), e continuò a non mettere via nulla per pagare i debiti. Questo per molto tempo. Ma i conti continuarono a non migliorare, certo anche a causa di eventi esterni che non aveva previsto (il maltempo), ma i suoi creditori attribuirono anche questo alla sua generale imprevidenza. Allora anche i creditori più amici incominciarono a innervosirsi davvero molto, e gli segnalarono che rinnovare il debito gli sarebbe costato molto di più, perché le loro preoccupazioni crescevano.

Il pizzaiolo manifestò una irritazione ancora maggiore, chiamando quei risparmiatori “speculatori”, ricordando un suo nonno che parlò di “inique sanzioni”, e di cospirazioni “pluto-giudaico-massoniche”.

A qualcuno ricorda qualcosa? (NB. Due terzi del nostro debito pubblico è in mano a risparmiatori italiani, spesso molto piccoli… l’altro terzo è in mano a risparmiatori esteri).

Dopo l’aneddoto giocoso, passiamo rapidamente a pizze ben più pesanti da digerire, incominciando proprio dall’università di Cheine di Sopra. Questa nobile scuola di pensiero, di origine britannica, sostiene che se lo Stato interviene con spesa in deficit (cioè aumentando il debito pubblico), in fasi recessive dell’economia o di forti costi sociali dovuti alla disoccupazione, riesce ad invertire il ciclo economico, rimettendolo in moto verso una traiettoria di crescita.

Alcuni hanno obiettato che si può ottenere meglio lo stesso effetto sempre aumentando il deficit, ma con il taglio delle tasse. Imprese e consumatori investiranno e consumeranno di più. La polemica è aperta, i primi si collocano un po’ a sinistra (più spesa sociale, per esempio), i secondi un po’ più a destra (più spazio al mercato). Ma il fine è lo stesso. Le analisi tecniche degli effetti sembrano però far prevalere l’opinione dei primi: in effetti in una economia aperta gli investimenti pubblici rimangono nel Paese che li fa, le scelte dei consumatori e degli imprenditori potrebbero essere rivolte a beni o paesi esteri.

Però c’è un problema: gli economisti favorevoli alla spesa dovrebbero ricordare che la formula presuppone che, una volta ottenuto il risultato della ri-crescita anche modesta, i conti pubblici, come quelli del pizzaiolo, siano rimessi in ordine, pagando i debiti con le maggiori tasse che la crescita genera. In Italia non è andata così: lo Stato ha continuato a spendere allegramente per decenni (spendere crea consenso politico, mettere i conti in ordine lo distrugge). Per di più continuando a raccontarci che comunque spendere molto era buona cosa.

Questo ha reso la ricetta di Cheine una tragica presa in giro, oggi, con il debito pubblico alle stelle, che rende pericolosi gli indispensabili sostegni alla sanità e a chi ha perso il lavoro. Il pizzaiolo improvvido e spendaccione rischia di trasformarsi in un ristorante greco.

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