Le Borse europee hanno tentato una timida ripresa dopo i crolli di lunedì. Ma nel pomeriggio sono tornate in rosso, in scia a Wall Street che ha perso colpi a causa dell’incertezza per la tempistica e l’entità delle misure di stimolo promesse dal presidente Donald Trump. Parigi ha chiuso a -1,51%, Francoforte ha perso l’1,41%, mentre Londra è riuscita a contenere il ribasso allo 0,09%. Anche Piazza Affari ha fallito il rimbalzo. L’indice Ftse Mib, che in mattinata era arrivato a guadagnare fino al 3,8%, ha chiuso la seduta in calo del 3,28%, rompendo la soglia dei 18.000 punti, a 17.870 punti. Si tratta del nuovo minimo da dicembre 2016. Da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus il listino milanese ha perso quasi il 30% del suo valore.

In spolvero solo Diasorin, che ha comunicato di aver completato gli studi per il lancio di un “test innovativo” per la diagnosi rapida del coronavirus, mentre Saipem ed Eni che in mattinata avevano beneficiato del rialzo del greggio sono scivolate di nuovo in territorio negativo. Male anche Atlantia – che perde l’8,18% – per effetto del calo dei volumi di traffico legati alle nuove misure restrittive estese a tutta Italia. Lo spread tra Btp e Bund durante la seduta è sceso verso i 200 punti per poi allargarsi di nuovo fino a 215 punti, con il rendimento del decennale italiano all’1,35%. I prezzi del petrolio in compenso hanno recuperato terreno rispetto alla seduta di lunedì che è stata la peggiore dal 1991.

Intanto il governo amplia la portata delle misure di sostegno all’economia che verranno varate nei prossimi giorni. Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha confermato che l’ordine di grandezza sarà di circa 10 miliardi contro i 3,6 annunciati solo 10 giorni fa e saliti a 7,5 il 5 marzo. “Per fare misure in deficit maggiori rispetto a quando previsto nel documento di economia e finanza bisogna passare dalle Camere e avere una maggioranza qualificata“, ha spiegato Patuanelli. “E’ chiaro che cercheremo di farlo meno volte possibile per cui è corretto il ragionamento che faceva il presidente del Consiglio ieri in conferenza stampa, probabilmente ci lasceremo un po’ di margine in questo primo provvedimento. Prevederemo un deficit un po’ più alto, in modo da avere più possibilità di interventi. Non è detto che utilizziamo tutto nel primo decreto”. L’Ufficio parlamentare di bilancio però avverte che “affidarsi solo alle politiche nazionali rischia di lasciare un’eredità difficilmente gestibile in futuro, soprattutto nei paesi che partono da una situazione finanziaria vulnerabile con impatti sfavorevoli anche sull’intera area euro. Sarebbe fondamentale, fin d’ora, affiancare all’azione dei singoli Paesi modalità di intervento definite a livello dell’intera euro zona, inclusa la possibilità di emettere debito con garanzia europea“.

Sul fronte dell’economia reale, i dati Istat sulla produzione industriale di gennaio diffusi martedì mattina sono molto positivi, con un +3,7% su mese, ma si riferiscono alle settimane precedenti la deflagrazione dell’emergenza. Un rialzo di questa portata nella serie storica destagionalizzata partita nel 1990 si era toccato solo nell’agosto 2007. La crescita risente peraltro del confronto con dicembre, che aveva registrato un “forte calo”. Male la produzione di autoveicoli che a gennaio scende del 4,1% su base annua (dato corretto per gli effetti di calendario). L’istituto di statistica parla di “un’accentuata volatilità dell’indice destagionalizzato nell’ultimo bimestre” dovuta “alla particolare disposizione” dei giorni lavorativi, in primis all’effetto ‘ponte’ di venerdì 27 dicembre. La variazione annua corretta per il calendario risulta in lieve calo (-0,1%).

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