Che litighino anche i papà sulle “chat delle mamme” è il segnale più evidente che la situazione è ormai fuori controllo. Le opinioni ed emozioni cambiano di ora in ora e anche i più supponenti e scettici cominciano zitti zitti ad aver paura. Per non parlare delle personalità solitamente aggressive che, tanto erano scandalizzate dalle scelte del governo prima, tanto sono “in modalità restrittiva” adesso, coerentemente con quell’approccio telematico, dilagato più del virus, estremamente semplicistico e arrogante di fronte a problemi complessi. Come quello globale, sanitario, sociale, economico, familiare, individuale e financo esistenziale che ci troviamo nostro malgrado, inaspettatamente, ad affrontare.

E tutto per colpa di un minuscolo virus. Mi ricorda quel documentario sulle coccodrille che mi colpì assai qualche anno fa. Erano le più forti predatrici della Terra. Imbattibili, immangiabili, immortali se non fosse stato per quei numerosi e piccolissimi mosquitos che gli ronzavano intorno agli occhi provocando loro piaghe e bruciori tali da impedirgli di poter sorvegliare, con la dovuta attenzione, le loro uova nascoste sulla riva. Allora pensai all’ironia sublime della natura e non posso che pensarvi anche adesso.

Quello che non sono riusciti a fare allarmi, proclami, reclami ed appelli di scienziati, associazioni e di milioni di studenti nelle piazze di tutto il mondo, è riuscito a fare un minuscolo virus. Fermare la ruota, la giostra, gli aerei, le aziende, il via vai, le compravendite, il magna magna, ma anche, ahinoi, il lavoro. Non penso a me che ho la fortuna di poter lavorare da casa (seppur tra numerose interruzioni e innumerevoli faccende), ma a quei milioni di persone che lavorano a cottimo, e spesso a nero, solo e soltanto se si recano in loco (spesso in metropolitana) donando sangue e sudore, e che in questi giorni sono i primi, loro malgrado, a doversi fermare, o a chi il lavoro non lo aveva prima e ancor meno può sperare di trovarlo nei prossimi mesi. Insomma come al solito, nonostante il virus non sia naturalmente classista, i più deboli (anche di salute) saranno quelli che pagheranno il prezzo più alto.

Se la situazione economica e sociale delle famiglie italiane era già sull’orlo del collasso certamente da un punto di vista economico e psicologico il coronavirus è riuscito, pur senza lame, a darci il colpo di grazia. Eppure eppure a ben vedere qualche aspetto positivo potremmo trovarlo se questa situazione ci costringesse, come sembra, a fare un salto di consapevolezza circa la responsabilità individuale che ciascuno di noi ha nei confronti della propria società: quello che sicuramente, a detta di scrittori, poeti, politici e studiosi del passato, è sempre peculiarmente mancata al nostro Paese. La responsabilità individuale nei confronti della comunità, della società, dello Stato. In questo modo non aspettandosi dallo Stato qualcosa, ma facendoci noi, in prima linea, nelle scelte davvero di ogni giorno e minuto, Stato, società, comunità, paese.

Noi chi però? Ma naturalmente e soprattutto noi donne. Non me ne vogliate papà, è vero, vi date tanto da fare, in ogni campo, con solerzia e generosità, sempre di più, ma lo sapete anche voi che poi alla fine, le migliaia di scelte quotidiane, il filo rosso della regia familiare, è in mano (e soprattutto mente) nostra, nel bene e nel male. Sono soprattutto i cittadini di genere femminile, le cittadine, a sostituire e sopperire alle scelte, o non-scelte dei politici, generalmente di genere maschile, come quella di sfilare negli ultimi 10 anni ben 37 miliardi al Sistema Sanitario Nazionale che, ciò nonostante, rimane universale (anche per chi non paga le tasse), generoso e attento.

E forse, proprio approfittando di questa crisi, potremmo pretendere, noi cittadine, che alle donne non solo venga doverosamente riconosciuto uno stipendio pari a quello dei colleghi maschi, ma che questo sia financo superiore al loro, tanto da poter compensare le usuali 4/5 ore (in questo periodo 24) quotidiane che in media le donne riservano alle faccende domestiche in più, rispetto a quello dedicatovi dai loro partner maschili.

Come? Con dei semplici e cospicui incentivi fiscali ai datori di lavoro che contrattualizzino donne. Loro spendono di meno, noi guadagniamo di più. Semplice e giusto. E anche molto produttivo perché poi le spese correnti maggiori le facciamo e decidiamo, giocoforza, sempre noi.

Tornando al clima da guerra nucleare che si respira nelle nostre città (vi scrivo da Roma) considero possa essere un’occasione utile, come cerco faticosamente di dire ispirando i miei figli, per connotare questo periodo – che resterà certamente indelebile nella loro memoria futura – come un momento di ricerca, di approfondimento, di riflessione e di lettura (non necessariamente della Bibbia).

Insomma come tento timidamente (altrimenti è controproducente, ho imparato) di trasmettere alle mamme (e papà) delle chat: cerchiamo di approfittarne per sviluppare l’homeschooling, per responsabilizzare i nostri figli e noi stessi, di approfittarne affinché la tecnologia diventi strumento culturale e non di distrazione di massa. Ma loro mi rispondono che il governo non può scaricare su di noi “anche questa responsabilità”!

Ma siamo sicure che il livello culturale del nostro Paese non sia anche e soprattutto prima di ogni altro responsabilità proprio di noi madri? E se ci assumessimo apertamente e consapevolmente proprio questa responsabilità, quella culturale, prima di ogni altra (prima del cibo, della pulizia, delle buone maniere…), non potremmo forse effettivamente pretendere, proprio approfittando di questo momento, un riconoscimento formale al nostro ruolo di produttrici di cervelli e cittadinanze? Oltreché di prodotti e servizi?

Insomma è il momento giusto affinché il famoso doppio ruolo ci venga riconosciuto in termini economici, a patto però che noi ci si assuma apertamente il ruolo di educatrici, non solo di noi stesse, ma anche di governanti, presenti, e soprattutto, futuri.

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