Stavolta le iniezioni di liquidità delle banche centrali possono poco. E anche per i governi, responsabili della politica fiscale, trovare misure adatte per sostenere l’economia alle prese con gli effetti del coronavirus è un rebus. Perché l’epidemia e le misure di contenimento adottate per contenerle hanno un impatto peculiare: colpiscono al tempo stesso sia la domanda – calano i consumi fuori casa, si ferma lo shopping, cinema e teatri dove aperti sono semivuoti – sia l’offerta, perché interi settori come turismo, pubblici esercizi e trasporti sono fermi o quasi e la produzione fa i conti con dipendenti assenti e difficoltà negli approvvigionamenti perché le catene di fornitura sono interrotte. Una situazione senza precedenti nella storia recente: un doppio choc come questo si verifica solitamente solo in caso di guerra. La “buona notizia” è che, finita l’emergenza, non ci sarà nulla da ricostruire e si potrà ripartire rapidamente. Ma la paura potrebbe continuare a condizionare i comportamenti, penalizzando il comparto turistico per molto tempo.

L’economista: “Per lo choc sull’offerta le politiche possono poco” – “Lo choc economico causato dal virus e soprattutto dalle misure per contenerlo è inusuale perché colpisce sia il lato dell’offerta sia quello della domanda”, sottolinea tra gli altri Neil Shearing, capo economista della società di analisi indipendente Capital economics, nel suo ultimo commento sull’evoluzione della crisi e il potenziale impatto sul pil globale. “Chiusure diffuse e restrizioni ai viaggi limitano l’offerta”, oltre al fatto che “alcuni produttori stanno iniziando ad avere problemi a causa dell‘interruzione delle forniture di componenti importati”. Sull’altro fronte, “meno uscite al cinema e al ristorante e più in generale la riduzione dei consumi indeboliscono la domanda. Non c’è molto che la politica monetaria o fiscale possano fare per affrontare il primo aspetto. Ed è da verificare se siano in grado di sostenere la domanda nel brevissimo termine”.

Le armi spuntate delle banche centrali. Allo studio finanziamenti diretti – Il punto, insomma, è cercare di evitare che in attesa del ritorno alla normalità – con tempi ora impossibili da prevedere – le aziende più penalizzate falliscano, impoverendo il sistema. Da questo punto di vista le banche centrali hanno le armi spuntate: tagliare ancora i già bassi tassi di interesse (come hanno già fatto la Banca del Popolo cinese, la Reserve Bank of Australia e da ultima la Federal Reserve) ha un effetto molto limitato se le imprese producono forzatamente a ritmi rallentati, per non dire di quelle nella zona rossa costrette a rimanere chiuse. E anche interventi non convenzionali come il quantitative easing condotto dalla Bce di Mario Draghi e le iniezioni di liquidità tentate in questi giorni dalla Bank of Japan hanno pochissima presa quando il problema non è trovare risorse per investire ma avere in cassa abbastanza soldi per riuscire a pagare fornitori e dipendenti. Le decisioni di politica monetaria in questa fase possono al massimo aiutare a calmare le tensioni sui listini. O neanche quello: martedì la decisione della Fed di tagliare a sorpresa i tassi non è bastata per evitare un nuovo crollo di Wall Street. In queste ore si immaginano meccanismi inediti come il finanziamento diretto alle pmi colpite: secondo Reuters l’Eurotower, a mali estremi, sta valutando anche questa opzione. Non siamo all’helicopter money, ma lo ricorda. Dal canto suo la Fed secondo alcuni analisti potrebbe intervenire direttamente sul mercato comprando fondi di investimento azionari (Etf) come ha già fatto la Bank of Japan.

“I governi agiscano subito” – In compenso, secondo Shearing, i governi in questa fase possono giocare un ruolo importante: “La politica fiscale è probabilmente lo strumento più efficace nel contrastare qualsiasi choc alla domanda perché può essere mirata ai settori economici più colpiti“. Non a caso la capo economista dell’Ocse Laurence Boone, dopo la presentazione del rapporto che definisce l’epidemia “minaccia senza precedenti”, ha chiesto loro “di agire subito, indipendentemente da come il virus si diffonderà nei prossimi giorni e mesi. Questo non è uno choc che le banche centrali possono affrontare da sole“. In attesa della teleconferenza dell’Ecofin, in agenda mercoledì, i ministri delle Finanze del G7 per ora si sono limitati a dirsi “pronti ad adottare misure, anche di bilancio se necessario”. Il governo Conte ha varato la settimana scorsa le prime misure per le aree più colpite (dal rinvio delle scadenze fiscali alla facilitazione dell’accesso alla cassa integrazione) e agevolazioni per il comparto turistico. A giorni è atteso un altro decreto, con interventi per un totale di 3,6 miliardi, in cui dovrebbe trovare spazio un credito di imposta per chi ha perso oltre il 25% del fatturato. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha promesso poi misure ad hoc per il made in Italy, che – dal cibo alla moda – potrebbe risentire dei contraccolpi della psicosi.

Cosa fare e cosa evitare. “Non rallentare sui programmi di investimento” – Secondo gli analisti di Ref Ricerche, per limitare i danni alla struttura produttiva è urgente mettere in campo politiche mirate a evitare la “distruzione di prodotto potenziale” – vale a dire che le imprese più fragili chiudano i battenti – e ad aiutare i lavoratori che si ritrovano senza reddito. Con strumenti come “l’utilizzo della Cassa integrazione, norme per il rinvio dei pagamenti di imposte, dilazioni dei termini di pagamento delle rate dei mutui, iniziative peraltro già avviate dal Governo”. Da evitare, invece, “strumenti generici di supporto alla domanda aggregata che disperderebbero risorse, sottraendole agli interventi per i settori colpiti più duramente dalla crisi”. Ma un altro aspetto importante, ricorda l’ultimo aggiornamento sulla congiuntura curato dal gruppo di lavoro di Fedele De Novellis, è che “la macchina pubblica continui a lavorare: è possibile che l’incertezza si trasformi in un generalizzato rallentamento dei processi decisionali, portando quindi anche a posticipare decisioni su attività che poco hanno a vedere con l’epidemia (si pensi ai programmi di investimento)”. Imprese e sindacati la settimana scorsa hanno chiesto un grande piano di rilancio degli investimenti che guardi oltre l’emergenza, visto che il Paese era in stagnazione già prima e indipendentemente dell’epidemia. L’annunciato sforamento di 0,2 punti rispetto al livello di deficit/pil previsto per quest’anno, dunque, potrebbe essere solo il primo passo.

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