Assolto perchè “il fatto non sussiste” l’amministratore giudiziario accusato di favoreggiamento per aver “aiutato” l’ex re dei detersivi di Palermo, Giuseppe Ferdico, che invece è stato condannato. Nel 2017 l’amministratore finì ai domiciliari per non aver segnalato la presenza dell’imprenditore nei locali sequestrati, ma durante il processo i giudici hanno acquisito una segnalazione “riservata“, inviata dal professionista al giudice delegato. Si tratta di Luigi Miserendino, commercialista palermitano diventato simbolo del rilancio dei beni confiscati. Per lui il pm Laura Bettiol aveva chiesto la condanna a quattro anni e dieci mesi, per aver consentito all’imprenditore Ferdico la gestione di un centro commerciale, nel frattempo confiscato dalla sezione Misure di prevenzione. Richiesta respinta dal giudice Donatella Puleo del Tribunale di Palermo che ha condannato gli altri quattro imputati: lo stesso Ferdico a sei anni e mezzo, il prestanome Francesco Montes cinque anni e otto mesi e i due professionisti Pietro Felice e Antonino Scrima, entrambi sette anni. Erano imputati, a vario titolo, di intestazione fittizia di beni ed estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver chiesto il pizzo al direttore della società incaricata della vigilanza nel centro commerciale Portobello di Carini.

Esce assolto dal processo, invece, Miserendino, che ai convegni di Libera rappresentava i successi della gestione dei beni confiscati. A partire dall’affidamento a cooperative di lavoratori, come è accaduto con la Calcestruzzi Ericina, confiscata al capomafia di Trapani Vincenzo Virga (arrestato da latitante nel 2001) e l’hotel Panoramic di San Vito Lo Capo, sottratto a un imprenditore ritenuto vicino a Matteo Messina Denaro. Nei mesi precedenti al suo arresto era tra i promotori del progetto “Calcestruzzo della legalità” su una rete di aziende sequestrate e confiscate nel settore della produzione e dello smaltimento di materiale edile. Poi l’idea – supportata anche dal Ministero dell’Interno – si arenò negli uffici dell’Agenzia dei Beni Confiscati. La gestione dei beni di Ferdico risale al luglio 2012.

In quegli anni secondo la Procura, l’amministratore “consapevolmente” lo aveva “aiutato” ad assicurare a “se il prodotto e il profitto” del centro commerciale. Soprattutto “omettendo di comunicare al giudice della misura di prevenzione le ingerenze di Ferdico”, che aveva il “divieto di accedere ai locali sequestrati“. Miserendino, difeso dall’avvocato Monica Genovese, era accusato anche di aver stipulato tre contratti di affitto di rami d’azienda. In seguito al blitz rimbalzò l’intercettazione del maggio 2016 in cui Miserendino si chiedeva: “A me in questa situazione chi me lo fa fare di intervenire?”. Anche per questo sono stati ascoltati i dirigenti della Squadra Mobile e della Dia di Trapani che hanno indicato “numerose denunce sporte da Miserendino in ordine al tentativo dei mafiosi di inserirsi nelle attività poste a sequestro”. Metodologie confermate in aula anche da alcuni magistrati che nel corso degli anni gli avevano affidato la gestione dei beni. Come il presidente della sezione Misure di Prevenzione di Trapani, Piero Grillo e il sostituto procuratore Andrea Tarondo. Infine è saltata fuori anche la “comunicazione riservata” datata 8 gennaio 2016, inviata al giudice delegato Vincenzo Liotta. “Da un po’ di tempo” si legge nella missiva, si notava “la presenza di noti soggetti malavitosi e di Ferdico Giuseppe che spesso si recava presso il centro commerciale, apparentemente per visitare la struttura, ma lasciando intendere che avesse altri obiettivi”. Il documento venne inoltrato alla Procura di Palermo, ma non fu mai acquisito dalla Guardia di Finanza.

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