Da settimane si parla solo del coronavirus. A parte la paura di essere contagiati, si temono le conseguenze sugli equilibri economici. Si sa, l’impatto delle epidemie sull’economia mondiale è sempre catastrofico, viene spontaneo pensare che più gente muore più si contrae l’economia. Ma è vero anche il contrario, la scomparsa di milioni di persone può creare nuove opportunità per chi rimane in vita. E’ quello che in effetti è successo con la peste nel 14esimo secolo.

Secondo i dati riportati dalla Chiesa, la peste uccise un terzo della popolazione europea, la percentuale di mortalità si pensa fosse del 75%, quindi altissima. Storici e antropologi sostengono che una tale catastrofe cambiò il sistema economico perché venne a mancare l’abbondanza di lavoro. Chi aveva bisogno di braccianti, ad esempio, li doveva pagare invece di farli diventare servi della gleba perché la domanda di lavoro era inferiore all’offerta. Tutto ciò spinse anche la ricerca tecnologica per massimizzare la produttività della forza lavoro.

Sebbene la peste finì ufficialmente nel 1353 come epidemia continentale, ricomparse in alcune zone dell’Europa fino al 1400, mantenendo la popolazione europea costante, e quindi l’offerta di lavoro bassa. Durante questo secolo di grandi cambiamenti demografici l’economia europea crebbe. I salari dei braccianti, che fino allo scoppio della peste erano stati costretti ad essere servi della gleba si raddoppiarono, i maggiori proventi si tradussero in un miglioramento in tutte le classi basse, mentre la contrazione della popolazione produsse un rapporto ottimale con le terre disponibili.

La migliore distribuzione della ricchezza portò anche ad un aumento della scolarità: nel 1343 l’alfabetizzazione in Europa e nel Medio Oriente era sotto il 5%, nel 1800 in Europa era salita al 50% mentre in Turchia era rimasta invariata.

Sul piano tecnologico in risposta alla catastrofe della peste gli europei migliorarono i sistemi di estrazione delle miniere, quelli di navigazione e introdussero l’aratro pesante trainato non più da un bue ma da un cavallo, che permise un miglior sfruttamento della terra e un’ulteriore aumento della ricchezza.

L’analisi delle conseguenze economico-sociali di lungo periodo della peste ci deve far riflettere sull’impatto di lungo periodo del coronavirus, qualora l’epidemia non venga debellata velocemente, come avvenne con la Sars. Sebbene il coronavirus non possa essere paragonato alla peste, di gran lunga più infettiva e mortale, il ruolo centrale che la Cina svolge nell’economia globalizzata può ampliarne l’impatto e trasformare radicalmente gli equilibri attuali.

La Cina è una fonte essenziale di approvvigionamento per diversi settori produttivi, basta menzionare l’industria elettronica e quella automobilistica. Nella prima Pechino è ormai leader con al suo attivo il 30% delle esportazioni globali, pari a cinque volte il fatturato della Germania. Ma anche nell’industria automobilistica la Cina è leader per quanto riguarda le componenti.

La dipendenza dalle catene di approvvigionamento cinesi può mettere in ginocchio interi settori, come quello automobilistico, adesso che queste si sono fermate. La Fiat Chrysler si trova già in una situazione critica, mentre all’inizio di febbraio la Hyundai ha dovuto chiudere le fabbriche nella Corea del Sud e la Volkswagen ha posposto la riapertura di quelle in Cina fino alla settimana prossima.

A livello globale i numeri sono ancora più preoccupanti: la Cina importa l’11 per cento del volume totale delle esportazioni, il 2,7% in più di 20 anni fa. Un cambiamento di un paio di punti percentuali nel consumo cinese ha quindi un impatto enorme sulla domanda globale.

Una riflessione da fare a questo punto è la seguente: la peste ridisegnò il sistema economico-sociale del vecchio continente perché uccise un terzo della popolazione, il coronavirus potrebbe avere un impatto simile senza mietere altrettante vittime, semplicemente attraverso il contenimento dell’epidemia, e cioè la quarantena imposta in gran parte della Cina che blocca le catene di approvvigionamento mondiali.

Non importa se il numero dei morti sarà inferiore a quello della grande influenza del 1917, la cosiddetta Spagnola, che fece fuori 40 milioni di persone: ciò che conta è la caduta della produzione e della domanda cinese prodotta dalle norme per prevenire il contagio.

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