Taliban e Stati Uniti hanno raggiunto l’accordo per una tregua che entrerà in vigore “molto presto” e che sarà il punto di partenza per la firma di un agreement tra le parti che porterebbe al ritiro delle truppe americane dal Paese dopo più di 18 anni di conflitto. A riportarlo è l’Associated Press, ma le voci circolavano già da giorni, con i vari portavoce legati agli Studenti coranici che avevano preannunciato la pubblicazione di un comunicato riguardante i risultati del round negoziale.

Il segretario della Difesa Usa, Mark Esper, aveva già anticipato che l’accordo, raggiunto anche grazie al lavoro diplomatico svolto dall’inviato speciale Zalmay Khalilzad, si basa su un cessate il fuoco di 7 giorni. Un periodo di prova per testare la tenuta della pace tra le fazioni in guerra che l’amministrazione Trump ritiene necessario per poter avviare la seconda fase delle trattative, quella che dovrebbe riportare a casa i 13mila soldati statunitensi. Ritiro che dovrebbe avvenire contestualmente all’avvio di un vero processo di pace intra-afghano, tra i Taliban, appunto, e il governo di Ashraf Ghani, in attesa dei risultati delle ultime elezioni, svoltesi a fine settembre 2019.

Si tratterebbe di una nuova occasione di avviare un serio processo di pace nel Paese asiatico, dopo il quasi-accordo naufragato a settembre per volere di Donald Trump in seguito all’uccisione di un soldato americano in un attacco Taliban. In quell’occasione, il tycoon annullò un incontro segreto tra i rappresentanti del movimento islamista e il presidente Ghani a Camp David, facendo definitivamente fallire le trattative.

Esper e il segretario di stato Usa, Mike Pompeo, hanno intanto incontrato il presidente afghano a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco per comunicargli la possibilità di un accordo sulla “riduzione della violenza” che dovrebbe favorire un dialogo anche tra le parti afghane.

Per il momento, però, la violenza nel Paese non accenna a diminuire. Almeno cinque bambini sono morti, mentre tre sono stati feriti, in seguito all’esplosione di un ordigno nel distretto di Dasht-e-Archi, nella provincia di Kunduz, nel nord del Paese, secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno di Kabul. “L’ordigno esplosivo era stato piazzato dentro a una scuola. Tutte le vittime erano alunni”, hanno dichiarato dal governo, con le autorità afghane che, in attesa di eventuali rivendicazioni, accusano i Taliban. Una versione però da verificare, visto che, generalmente, l’organizzazione evita di sferrare attacchi nei confronti dei civili, a differenza, ad esempio, dei gruppi legati allo Stato Islamico.

In allerta, secondo fonti d’intelligence, anche le truppe internazionali di stanza a Herat, tra cui ci sono anche i militari italiani. A tal proposito, le stesse fonti riferiscono di un incontro tra iraniani, rappresentanti dei Taliban di Peshawar, città del Pakistan a lungo ‘rifugio’ dei miliziani, e dell’Isi, i servizi segreti di Islamabad più volte accusati di aver sostenuto l’insurrezione afghana, allo scopo di pianificare attacchi, in particolare contro le forze statunitensi. Strategia che, nella mente delle frange più estremiste dei Taliban, servirebbe a dimostrare l’incapacità dei vertici di Doha, dove si trova la diplomazia della formazione, di gestire le varie fazioni di cui si compone il gruppo.

Twitter: @GianniRosini

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