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Cronaca

Ultimo aggiornamento: 14:21 del 11 Febbraio 2020

Caporalato, tre arresti a Foggia: ecco come vivevano i braccianti. Il cartello di minaccia ai lavoratori: “Chi va via deve tornare in Marocco”

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Costringevano i braccianti a lavorare anche più di dieci ore al giorno, in condizioni disumane, per una paga ben al di sotto delle retribuzioni minime di legge. Per questo tre titolari di due aziende agricole nel Foggiano, Perugino Libero di Foggia e Ortofrutta De Martino, di Zapponeta, sono stati arrestati con l’accusa di sfruttamento sono state arrestate con l’accusa a vario titolo di sfruttamento del lavoro, intermediazione illecita e false dichiarazioni all’Inps. Nell’ambito della stessa operazione anticaporalato, condotta dai Carabinieri, sei persone sono state raggiunte da ordinanze di custodia cautelare, tra cui i tre titolari delle due imprese. Inoltre, tre ‘caporali’ (due marocchini e un cittadino della Guinea) sono tuttora ricercati nei rispettivi Paesi di origine e per loro verrà spiccato un mandato di arresto internazionale.

I carabinieri hanno accertato la presenza di 45 lavoratori, soprattutto africani e albanesi, tutti regolarmente assunti ma obbligati a lavorare in condizioni di sfruttamento, con salari orari dai 3,5 ai 4 euro i primi, fino ai 6 euro gli albanesi. Alcuni erano costretti a vivere in roulotte o in alloggi di fortuna privi di servizi igienici, in condizioni di profondo degrado e “dovevano anche versare 15 euro al mese per questa sorta di dormitori”, fanno sapere gli investigatori. I braccianti venivano reclutati sia nel ghetto di Borgo Mezzanone, l’insediamento abusivo di migranti sorto a pochi chilometri da Foggia, sia nell’ex centrale del latte di via Manfredoni, alla periferia della città. Trovato anche un cartello che minacciava i lavoratori: “Quando un lavoratore va via non potrà avere il permesso di soggiorno, diventerà clandestino e deve ritornare in Marocco”.

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