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Milano, prete condannato perché pagava un 16enne per fare sesso: la Cassazione conferma, ma la prescrizione salva il sacerdote

Tra il 2009 e il 2011, stando a quanto ricostruito nel corso del processo, il parroco ha pagato venti volte una cifra tra i 150 e i 250 euro a un minorenne tossicodipendente per fare sesso. Ma per un "flipper" procedurale, i reati sono prescritti nonostante la colpevolezza del sacerdote sia stata accertata in tre gradi di giudizio
Milano, prete condannato perché pagava un 16enne per fare sesso: la Cassazione conferma, ma la prescrizione salva il sacerdote
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I 20 atti sessuali di prostituzione minorile sono ritenuti accertati dal giudice per l’udienza preliminare, dai giudici dell’Appello e perfino dalla Cassazione. Eppure i reati per i quali è stato processato da don Paolo Alberto Lesmo, per un ‘cavillo’ tecnico, sono prescritti e quindi resteranno impuniti. Tra il 2009 e il 2011, stando a quanto ricostruito nel corso del processo, il parroco della chiesa di S.Marcellina ed ex decano di Milano-Baggio avrebbe più volte – venti i casi – pagato una cifra tra i 150 e i 250 euro a un minorenne tossicodipendente per fare sesso.

L’inchiesta del pm Giovanni Polizzi parte nel 2013 quando la psicologa del giovane, alla quale si era rivolto dopo aver tentato il suicidio, raccoglie le sue confidenze. E nel racconto ecco la storia della chat con “Alberto” che, come racconta Il Corriere della Sera, il 16enne associa agli atti sessuali a pagamento con il parroco – e insegnante a scuola del fratello minore – di 48 anni. Il sacerdote prova ad annacquare il racconto del giovane problematico, ma il pubblico ministero indaga e gli elementi raccolti vengono giudicati sufficienti dal gup Gennaro Mastrangelo per condannare don Paolo Alberto Lesmo a 1 anno e 10 mesi con rito abbreviato per “prostituzione minorile”, senza attenuanti generiche e senza sospensione condizionale della pena.

Una sentenza di colpevolezza che viene confermata anche in appello nel 2018. Il prete fa ricorso in Cassazione. Nel 2019 la Suprema Corte respinge due (responsabilità e attenuanti) dei tre motivi, ma accoglie il terzo che boccia come “illogica”, spiega sempre il Corriere, la motivazione del diniego della sospensione condizionale della pena (per “mancata resipiscenza”) visto che nel frattempo il sacerdote è stato sospeso dal ministero e vive in una comunità di sostegno psicologico. A questo punto, sotto il profilo giuridico, si innesca un flipper che fa scattare la prescrizione: si forma infatti “un valido rapporto di impugnazione” al momento della sua presentazione, “e quindi consente di rilevare” adesso “la prescrizione del reato” che è “maturata” l’1 luglio 2018, undici giorni dopo la sentenza d’appello emessa il 20 giugno 2018.

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