È atterrato all’aeroporto militare di Pratica di Mare l’aereo che ha trasportato i 56 italiani bloccati da settimane a Wuhan, la città focolaio del coronavirus. Dopo i primi controlli medici, che sono stati effettuati nell’area di biocontenimento allestita nelle tende militari, è risultato che stanno bene. Anche se tutti – compresi i 6 bambini a bordo – saranno sottoposti a ulteriori test. Adesso per 14 giorni vivranno nel centro sportivo della Cecchignola, dove verranno sottoposti ad un periodo di quarantena per il tempo massimo di incubazione del virus. I connazionali, accompagnati dal viceministro della Salute Pierpaolo Silieri hanno viaggiato su un Boeing 767 del quattordicesimo stormo dell’Aeronautica militare, equipaggiato per l’assistenza sanitaria, con medici e infermieri a bordo.

Uno degli italiani che doveva partire non è potuto salire sull’aereo diretto a Roma perché aveva la febbre: si tratta di un ragazzo minorenne, 17 anni, ora curato da due signore italiane in un appartamento dell’ambasciata. I protocolli sanitari internazionali vietano di salire a bordo a chi mostra sintomi che potrebbero essere riconducibili al coronavirus, per la tutela degli altri passeggeri. Il connazionale, assicurano fonti diplomatiche, è seguito attentamente da personale medico dell’ambasciata e del ministero degli Esteri cinese. La sua condizione “non è preoccupante” e “auspichiamo che non abbia nulla, ma aveva la febbre e la febbre non è un sintomo trascurabile in questo caso”, ha spiegato Stefano Verrecchia, capo dell’Unità di crisi della Farnesina che è in stretto contatto con la famiglia.

È il giorno delle partenze e degli arrivi forzati in un clima che sembra quasi da guerra. È atterrato invece poco dopo le 6 all’aeroporto di Fiumicino, proveniente da Taipei, il primo volo della China Airlines (CI75) operato con un Airbus A350 per il rimpatrio dei turisti cinesi. L’annuncio dell’avvio, a partire da oggi, del ponte aereo da e per la Cina, era stato dato ieri dal Commissario straordinario per l’emergenza coronavirus Angelo Borrelli.

Per gli italiani che sono rimasti bloccati nella città di Wuhan è quasi finito un incubo. Ma sono tanti anche quelli sparsi nell’intera Cina, e non nella regione di Hubei fulcro dell’emergenza, che vorrebbero tornare in Italia, preoccupati per la diffusione del virus. Numeri esatti non se ne fanno: almeno 500 avrebbero però già chiesto assistenza per il rientro. E per loro si lavora ad una soluzione nell’ambito del complesso piano che le autorità italiane stanno mettendo a punto per affrontare la situazione.

Sulla carta resta la possibilità di rientrare attraverso un collegamento aereo non diretto, facendo scalo in quegli aeroporti internazionali le cui compagnie aeree continuano ad operare con la Cina, per poi proseguire per gli scali italiani (sottoponendosi alla procedura di controllo decisa per tutti i viaggiatori provenienti da quel Paese). Ma è allo studio anche la possibilità di usare gli aerei che dovrebbero partire potenzialmente vuoti dalla Cina per rimpatriare i cinesi che hanno difficoltà a tornare in Asia per il blocco dei voli deciso dall’Italia.

Intanto la Cina ha registrato 57 nuovi decessi nel contagio della sola giornata di domenica, portando il totale a quota 361: gli ultimi aggiornamenti della Commissione sanitaria nazionale (Nhc) hanno inoltre segnalato 2.296 nuovi contagi accertati, per 17.205 casi complessivi. Mentre i casi sospetti sono cresciuti a 21.558 e le guarigioni a quota 475. I 361 morti, annunciati oggi dalla Commissione sanitaria nazionale (Nhc), hanno superato i decessi della Sindrome respiratoria acuta grave (Sars) che nel 2002-03 ne fece 349, secondo i numeri ufficiali dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Allo stato, i contagi totali del coronavirus sono 17.205, più del triplo dei 5.327 della Sars.

Nel primo giorno utile di ritorno al lavoro, sono almeno 24 le province e municipalità cinesi, come Shanghai, Chongqing e il Guandong, che invece hanno rinviato la ripresa delle attività economiche e produttive a non prima del 10 febbraio per i timori di contagio. Sono aree che nel 2019 hanno pesato per oltre l’80% in termini di contributo al Pil della Cina e per il 90% all’export. L’Hubei, cuore dell’epidemia, non ripartirà prima del 14 febbraio, sempre che non si richieda una “appropriata estensione” del periodo di ferie, ha scritto venerdì il Quotidiano del Popolo.

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