Nel suo ufficio di preside della Scuola Politecnica Genovese (nata dalla fusione tra le Facoltà di Ingegneria e Architettura) Aristide Fausto Massardo teneva in bella vista il manifesto di un film meno noto di Sean Connery: “La collina del disonore”, riferimento alla sua lunga battaglia condotta contro la speculazione immobiliare sul cucuzzolo abbandonato di Erzelli, dietro l’aeroporto, scollegato dal resto della città e flagellato in permanenza da raffiche di vento; le pretese di salvare investimenti bancari nell’operazione temeraria deportandovi strutture pubbliche, università compresa. Ora il battagliero docente di sistemi per l’energia e l’ambiente si è reso disponibile a scendere nell’agone delle prossime elezioni liguri. E lo spiega con l’abituale tono pacato, con cui tiene sotto controllo la sua evidente passione civile.

Massardo: “Se mi chiedi chi me lo ha fatto fare, ti rispondo che a motivarmi è stata la crescente consapevolezza del divario in espansione tra il declino, sempre meno mascherabile, di una terra che amo – la mia terra – e le straordinarie opportunità che questa epoca storica crea grazie all’innovazione tecnologica e organizzativa. A fronte di una politica che conosce e pratica solo il primo principio della termomeccanica: quello di conservazione. Ma forse pesa ancora di più il ricordo di mio padre – un operaio del porto di Genova – che mi insegnava l’etica della responsabilità con il suo esempio quotidiano”.

La politica che ritrova le sue ragioni nei valori?
“Certo. Senza riappropriarci di una rigorosa etica pubblica, declinata nei principi di trasparenza e competenza, non riusciremo a creare gli anticorpi per rivitalizzare una democrazia malata di cinismo e carrierismo, incapace di bloccare l’avanzata del sovranismo/suprematismo; che – se vince – conquisterà lo Stato e farà carta straccia della nostra Costituzione“.

E tecnicamente come pensi di procedere?
“Innanzitutto intendo andare avanti con un folto gruppo di amici molto variegato, giovani e meno giovani, già impegnati in politica o neofiti, espressione della società civile, con cui costruire una lista per le regionali. Per poi aggregare una coalizione vasta di forze politiche e soggetti della rappresentanza, unificata dalla difesa del quadro democratico e antifascista. Da tutelare a partire dalle città e dai nostri territori: oggi la democrazia si rifonda dal basso”.

Ma quali sono i confini di questo perimetro?
“Primo: il non-voto per delusione. Poi i partiti e i movimenti che oggi sostengono il (travagliato) governo Conte II, ma aperto anche a quegli elettori che si definiscono ‘liberali moderati’ e che non vogliono finire nelle fauci di Matteo Salvini“.

Per fare che cosa? Immagino che abbiate già definito le priorità con cui andate al confronto con i vostri potenziali alleati.
Tre punti sono chiarissimi:

1. Valorizzare la ‘cultura del fare‘, dopo decenni in cui la nostra politica è finita nelle mani di inconcludenti chiacchieroni. Gente che ha occultato le proprie inadempienze con il brusio che chiamano “comunicazione” e invece è soltanto la vecchia propaganda virata a talk show.

2. Bisogna rinverdire la nostra tradizione di civiltà del lavoro in un quadro di preoccupante de-industrializzazione e massacri occupazionali. Trend da contrastare creando fertili relazioni tra le comunità scientifiche locali e il tessuto d’impresa.

3. Difendere il nostro modello sociale attirando risorse. Che si trovano prima di tutto grazie a un rapporto costruttivo – a oggi gravemente trascurato – con l’Europa“.

Altri dicono cose non molto diverse, perché dovremmo fidarci?
“È la mia biografia professionale a parlare: dirigo dal 2004 un centro ricerche di Rolls-Royce che ha finanziato laboratori e cattedre, sono membro di varie piattaforme di ricerca europee e sono l’unico genovese ad avere presieduto un comitato di esperti mondiali al Consiglio Europeo delle Ricerche il famoso Erc. Con il gruppo di ricerca che coordino (raccoglie oltre il 25% di tutti fondi europei H2020 di Unige), trasferisco a Genova le migliori pratiche e sono indipendente dai finanziamenti locali: oltre il 75% dei nostri fondi sono internazionali.”

Queste le parole del professor Massardo, in procinto di affrontare la sua nuova avventura. Intenzionato a rompere la cappa di piombo che grava sulla Liguria. Tema storico ricorrente in questo territorio tendenzialmente immobile, rimesso in movimento dall’entrata in campo di esigue minoranze che aprono nuove strade: i fratelli Embriaci alla Prima Crociata, Andrea Doria e gli altri banchieri genovesi di Carlo V, Raffaele Rubattino al tempo della prima industrializzazione, Oscar Sinigallia e la siderurgia a Cornigliano del secondo dopoguerra. E ora?

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