Nell’ambito della legge di bilancio ha fatto molto discutere la mancata proroga della cedolare secca per i proprietari di immobili di categoria catastale C/1, quindi negozi e botteghe, ovvero locali per attività commerciali per vendita o rivendita di prodotti di superficie fino a 600 mq escluse le pertinenze.

La relazione tecnica alla legge di bilancio 2019 affermava che tale misura – per i soli contratti di locazione per locali accatastati C/1 stipulati nel 2019 – avrebbe comportato, considerando un’aliquota marginale Irpef del 35%, una variazione di gettito Irpef di competenza annua pari a -321,9 milioni di euro e una perdita di gettito di -18,4 e -7 milioni di euro rispettivamente di addizionale regionale e comunale e di -19,4 milioni di euro di imposta di registro e bollo, per una variazione complessiva di gettito di competenza annua, tenuto conto anche delle entrate, di -163,4 milioni di euro.

Attenzione: questo avveniva senza richiedere in cambio una diminuzione dei canoni di locazione, quindi senza assicurare alcuna ricaduta nei confronti dei conduttori di negozi e quindi di commercianti e artigiani. Questo perché la cedolare secca è un vantaggio fiscale in cambio del nulla, di nessuna calmierazione degli affitti che abbia una incidenza rilevabile.

Confedilizia ha tuonato che la mancata proroga avrebbe provocato sfitto e affitti alti per commercianti e artigiani. In realtà la cedolare secca – non comportando alcuna garanzia di riduzione degli esorbitanti costi degli affitti che affliggono commercianti e artigiani – è al momento una agevolazione a senso unico.

La cedolare secca ha una sua logica applicativa quando è dentro un quadro di definizione dei canoni di locazione, che è calmierata. Può avere senso in un regime agevolato dei canoni, come ad esempio i canoni concordati; ma sul libero mercato quali benefici produce di fatto? Molto lievi. In tale contesto appare positiva la cedolare secca al 10% per i canoni concordati, che comunque prevedono canoni inferiori al mercato – e che stanno avendo sempre più successo.

La dimostrazione viene dalle locazioni ad uso abitativo, dove è prevista una cedolare secca al 21% per il libero mercato e una cedolare secca al 10% per affitti a canone agevolato, ovvero derivante da accordi tra associazioni dei proprietari e sindacati inquilini.

Ebbene la cedolare secca sugli affitti di immobili ad uso residenziale ha comportato, a parità di base imponibile, una perdita di gettito nel periodo 2011-2017 di 11,2 miliardi di euro. Non solo il Rapporto Immobiliare 2017 del Ministero dell’economia e delle finanze e dell’Agenzia delle entrate ha segnalato come, nei primi due anni di applicazione della cedolare secca, questa abbia comportato minori entrate per 2,2 miliardi di euro l’anno; ma la notizia vera è quella che il Rapporto indica i veri beneficiari della cedolare secca, ovvero il decimo più ricco dei proprietari, che da soli risparmiano in tasse ben 1,84 miliardi di euro l’anno dei 2,2 miliardi di euro complessivi.

In cambio di cosa? Di un costo minore degli affitti? No. Di una emersione del nero? In parte sì, ma solo residuale. Di fatto la logica della cedolare secca funziona se agisce come elemento a sostegno di affitti calmierati che siano relativi a immobili ad uso residenziale o negozi, qualora questi siano all’interno di accordi tra le parti, ovvero in un quadro di quello che si può definire un piano regolatore degli affitti.

Ma in assenza di questo, prevedere il mantenimento di una cedolare sul libero mercato assume la connotazione di un regalo ai proprietari più ricchi, quelli del decimo più ricco, e in questo modo noi, la collettività, rinunciamo ad almeno un miliardo di euro l’anno di entrate derivante da una tassazione progressiva, ovvero esattamente le risorse che servirebbero per attuare politiche abitative che aumentino l’offerta di alloggi a canone sociale e agevolato, attraverso programmi di riuso e rigenerazione di immobili pubblici e privati oggi inutilizzati, attuando una rigenerazione sociale, senza consumo di suolo, per affrontare strutturalmente la precarietà abitativa.

Intanto il decimo più ricco dei proprietari gongola, introita affitti e risparmia almeno un miliardo di euro l’anno. Insomma: i conti non tornano.

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