Due altoforni in esercizio e un terzo forno elettrico alimentato con il preridotto, produzione a 8 milioni di tonnellate e livelli occupazionali garantiti. Può riassumersi così il piano del governo per l’Ilva, annunciato dal ministro Stefano Patuanelli dopo quello illustrato da ArcelorMittal che prevede 4.700 esuberi al 2023. E la differenza principale è tutta lì: il numero degli occupati, tema più delicato e importante per l’esecutivo. Le indiscrezioni filtrate sui quotidiani, infatti, raccontano di diverse similitudini tra i due progetti e alcune profonde divergenze, legate alla quantità della produzione e ad interventi che garantirebbero una ‘vita’ più lunga allo stabilimento di Taranto.

Gli altoforni – Il governo vorrebbe mantenere il ciclo integrale su due altoforni, proprio come ArcelorMittal. La differenza è legata a quali: la multinazionale parla dell’1 e del 4, mentre l’esecutivo del 4 del 5. La differenza è sostanziale: i due tenuti in vita dai franco-indiani permettono una produzione di 4,8 milioni di tonnellate annue di acciaio, l’accoppiata voluta dal governo permette di arrivare a 6 milioni. C’è un altro dettaglio: l’altoforno 5 è attualmente spento e andrebbe ristrutturato con un investimento importante e questo, tra le righe, garantirebbe la permanenza a Taranto per circa 15 anni così da ‘ripagarlo’.

Il forno elettrico – Entrambi i progetti prevedono la costruzione di un forno elettrico ad arco. ArcelorMittal sostiene di volerne costruire uno a caricamento “ibrido” con rottame e ghisa liquida, mentre il governo prevede l’uso del preridotto. Questa soluzione non è comunque esclusa dalla multinazionale che nelle slide presentate al ministero dello Sviluppo Economico spiega di volerlo “predisporre” a “futuro caricamento con Dri”, ovvero proprio il preridotto. Sotto il profilo della capacità produttiva cambierebbe poco: ArcelorMittal parla di 1,2 milioni di tonnellate, il governo di 1,5.

La manodopera – Sostanziale è però la differenza sotto il profilo occupazionale delle due tecnologie applicate. E, sopratutto, della capacità produttiva totale. Gli 8 milioni auspicati dall’esecutivo – e previsti da Mittal nel precedente piano industriale che gli consentì di vincere la gara – garantirebbe sostanzialmente di restare sui livelli attuali. I 6 milioni della multinazionale presuppongono i 4.700 esuberi e minori investimenti, come il mancato “revamping” dell’altoforno 5. In uno scenario variabile del mercato dell’acciaio dal 2021 in poi (gli interventi richiederebbe un periodo di transizioni di circa 2 milioni) non è possibile avere certezze oggi su quanta produzione di acciaio – oggi con 4,5 milioni di tonnellate, ArcelorMittal dice di perdere quasi 2 milioni di euro al giorno – garantirebbe al siderurgico tarantino di avere i conti in ordine.

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