Trenord è al collasso, sia tecnico che finanziario. A dirlo sono i dati: dal crollo dei livelli di puntualità alle soppressioni dei treni, che continuano a rimanere elevatissime. Per non parlare delle pessime condizioni di viaggio, con molti passeggeri costretti a rimanere in piedi per chilometri – e non solo nelle ore di punta. Il tutto mentre l’azienda dà lavoro a un dirigente su 153 ferrovieri (28 manager e 150 quadri su un totale di 4,3mila addetti).

Il costo del km/treno di Trenord (circa 20 euro a km) è quasi il doppio del costo per km di Trenitalia nelle altre regioni italiane. La puntualità, già scarsa, è passata dall’84% del 2017 al 79% del 2018. Le soppressioni, sempre nel 2018, sono raddoppiate, passando dal 2,5% al 5,1% all’anno, cioè da 20 mila a 40mila treni cancellati ogni anno, quasi sempre senza preavviso.

Con 750mila passeggeri al giorno, infine, la rete lombarda soddisfa meno della metà della domanda potenziale di un’area regionale di analoghe dimensioni: in Baviera, su una rete quasi uguale per estensione, viaggiano 1,8 milioni di passeggeri al giorno. E per questo “malfunzionamento” quotidiano si spendono 900 milioni di euro l’anno, 2,4 al giorno.

Questa intollerabile situazione non è altro che l’esito – purtroppo annunciato – di un’azienda nata per difendere una posizione di monopolio e impedire che nella più importante regione italiana prendesse avvio – come successo invece nel resto d’Europa – un regime di vera concorrenza nel settore del trasporto ferroviario locale. Trenord (controllata al 50% ciascuno da Ferrovie dello Stato e Regione Lombardia) è nata per iniziativa dell’allora presidente Roberto Formigoni e dall’ex amministratore delegato di Fs, Mauro Moretti. Il primo aveva così la possibilità di mettere mano su un importante “giocattolo” clientelare; il secondo invece evitava le annuali, estenuanti trattative con la Regione per l’erogazione dei ricchi contributi necessari per alimentare gli alti costi d’esercizio dei treni pendolari.

Varata con il parere favorevole di tutti i partiti e i sindacati (sia confederali che autonomi), questa azienda di grandi dimensioni (così come quelle del mercato su cui opera) ha evidenziato fin da subito gravi inefficienze, senza riuscire a instaurare le promesse economie di scala. Al contrario, proprio le grandi dimensioni hanno reso altamente conflittuali le relazioni industriali – come dimostra l’elevatissimo numero di scioperi – e aumentato il costo del lavoro.

Così, a caratterizzare il trasporto ferroviario locale lombardo sono i costi elevati, i bassi ricavi e una produttività inferiore del 20% rispetto alla media europea. La scelta di unire due aziende monopoliste e generare una società con una posizione dominante e protetta sui 2mila km di binari lombardi è stata disastrosa. I costi di gestione in questi anni sono aumentati più dell’aumento dei servizi (km/treno), con una qualità in continua discesa.

In tutta Europa i servizi pendolari hanno cambiato pagina grazie alla messa a gara dei servizi: la Regione Lombardia, al contrario, prosegue con l’affidamento diretto della concessione, in proroga, a Trenord. E come potrebbe fare altrimenti, visto il conflitto d’interessi che la vede sia programmatore dei servizi ferroviari (e delle frequenze dei treni su ciascuna linea), sia compratore dei servizi, sia socio dell’azienda che gestisce tali servizi?

Così, mentre nel resto del Vecchio continente in questi anni i passeggeri sono cresciuti a ritmi elevati, il comfort del trasporto è migliorato e la puntualità cresciuta, da noi è avvenuto l’opposto. L’insoddisfazione dei pendolari ha fatto nascere una trentina di comitati sulle 25 linee gestite da Trenord. Sui social spiccano le proteste quotidiane e le denunce di disservizi di ogni tipo: si registrano i ritardi, le soppressioni in tempo reale e da un po’ di tempo si contano anche i reclami scritti, che hanno raggiunto la cifra di 500 al giorno.

Nel frattempo, tra i due soci dell’azienda continuano a volare gli stracci, aggravando le conseguenze che i passeggeri sono costretti a subire. Da un lato Trenitalia è accusata di aver portato in dote treni vecchi; dall’altra è lei ad accusare Trenord di aver voluto il comando della gestione con la nomina dell’amministratore delegato e la scelta dei vertici manageriali. A fare da tramite tra l’assessore regionale Claudia Terzi e Trenord c’è, o ci dovrebbe essere, la holding Fnm, che ha per statuto “funzioni di direzione e coordinamento strategico-operativo per tutte le società controllate”.

Un coordinamento che risulta del tutto latitante. Fnm, quindi, che ruolo ha? Serve solo a gestire un fondo pensioni complementare e il circolo ricreativo aziendale? A elargire consulenze a go-go, come quella data a Gianluca Savoini? O non è forse giunto il momento che si occupi della grave situazione delle ferrovie lombarde? Quanto al Gruppo Fs, per quanto ancora vuol continuare a tacere sulle indagini aperte dalla magistratura su Rfi e su Trenord?

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