A differenza del dibattito tra i sette portavoce dei partiti di venerdì scorso, nel quale i toni si erano mantenuti abbastanza miti, quello tra i cinque candidati dei principali partiti in lizza alle elezioni del 10 novembre è stato decisamente acceso. Pedro Sánchez (Psoe), Pablo Casado (Pp), Albert Rivera (Ciudadanos), Pablo Iglesias (Unidas Podemos) e Santiago Abascal (Vox) si sono scontrati su tutti i temi toccati, ma soprattutto su come affrontare la sfida rappresentata dalla situazione catalana e la politica dei patti per creare la maggioranza necessaria a governare.

Davanti al cosiddetto “blocco politico” non si è trovata alcuna soluzione, anche perché la posizione di Sánchez, contrario al patto con Iglesias, si è (se possibile) ancor più inasprita, vista la distanza tra le posizioni dei rispettivi partiti sui fatti che interessano la Catalogna. I due partiti sono usciti dal dibattito ancor più distanti e chi sperava ancora in una possibile alleanza tra Socialisti e Unidas Podemos è rimasto deluso. “La destra discute molto al suo interno, però alla fine non hanno problemi a trovare un accordo”, ha affermato Iglesias, porgendo così a Sánchez (ancora una volta) il “guanto della concordia”. Ma il leader del Psoe non lo ha accettato: “È evidente la discrepanza di fondo che c’è tra me e il signor Iglesias sulla questione catalana”, ha affermato.

Durante tutto il dibattito, tanto il candidato del Partido Popular quanto quello di Ciudadanos hanno continuato ad accusare Sánchez di essere al governo (pur senza la maggioranza stabile necessaria a evitare queste ulteriori, inevitabili elezioni) grazie ai voti degli indipendentisti, chiedendo con insistenza (nello specifico Pablo Casado) “patteggerà con Torra?”, il presidente della Generalitat.

Sánchez, dal canto suo, per allontanare da sé queste accuse, sulla questione catalana si è espresso con proposte che qualche mese fa sarebbero state impensabili. Tra queste, oltre alla promessa di recuperare la proposta di rendere illegale un referendum sull’indipendenza (iniziativa portata al Congresso a febbraio dal Pp e sulla quale il Psoe ha votato contro), anche una modifica della legge audiovisiva secondo la quale i consigli di amministrazione dei mezzi di comunicazione pubblici debbano essere approvati per due terzi del Parlamento autonomo, con un esplicito riferimento “all’uso fazioso di TV3”, l’azienda televisiva pubblica appartenente alla comunità autonoma della Catalogna. Quello che non ha specificato Sánchez, però, è che il Parlamento della Catalogna, il 23 ottobre, ha già approvato una modifica di suddetta legge della Generalitat per includere appunto l’approvazione da parte dei due terzi dell’assemblea, come segnala il sito del quotidiano El País.

Casado, dal canto suo, ha continuato a incalzare Sánchez sulla questione catalana, ignorando Abascal, rispondendo a tono a Rivera e focalizzandosi su un attacco costante e continuo al leader del Psoe che, nel corso dell’intero dibattito, è stato interpellato da tutti gli altri leader ben 73 volte.

Per poter eleggere il Presidente e governare, la maggioranza necessaria è di 176 seggi, ma i sondaggi stanno parlando chiaro: il Psoe si dovrebbe attestare attorno ai 116, il Partido Popular sui 94, Vox cresce raggiungendo i 42 seggi, mentre Unidas Podemos cala, con 36, e anche Ciudadanos si ferma a 19 (fonte: El País). Se i sondaggi venissero confermati dai risultati alla urne, la maggioranza necessaria per uscire dall’impasse sarebbe sempre più lontana.

A proposito di proiezioni, cifre e sondaggi, Santiago Abascal, leader di Vox (al suo primo dibattito televisivo), ha vinto i sondaggi di La Vanguardia, di El Periódico e di El País grazie alla mobilitazione social dei suoi sostenitori. Alla domanda “Chi credi che vincerà il dibattito?” la maggioranza dei votanti di questi tre sondaggi ha votato proprio Abascal. Anche il Psoe ha mobilitato i suoi per far sì che Sánchez vincesse i sondaggi presenti sui siti dei maggiori quotidiani del Paese, utilizzando il proprio sito, i propri social e anche la app El Socialista. Gli affiliati al partito (con questa app in funzione sul proprio cellulare) hanno ricevuto una notifica nel cuore del dibattito che ricordava loro di votare il leader del Psoe nei sondaggi di una quindicina di testate.

Albert Rivera, come nel dibattito precedente alle elezioni di aprile, ha continuato a utilizzare trovate sceniche per sottolineare i suoi discorsi e uno dei momenti che ha fatto scatenare maggiormente l’estro creativo di molti utenti tra Facebook, Instagram e Twitter, è stato quello in cui ha tirato fuori una tipica mattonella di Barcellona (quelle diventate ormai simbolo della città, con un fiore stilizzato disegnato sopra, chiamate panot) rotta dicendo che la città è stata devastata nelle settimane passate e che pezzi di mattonelle come quella che teneva in mano erano diventate delle armi nelle mani dei manifestanti, che le tiravano alla polizia.

Scelte di comunicazione del leader di Ciudadanos a parte, la strategia del Psoe (attualmente al Governo, pur senza maggioranza stabile) emersa dal dibattito è ancorata alla certezza dei voti dell’elettorato che lo ha sostenuto ad aprile e, allo stesso tempo, strettamente connessa alla sicurezza di riuscire a convincere quello di centro che ha perso fiducia in Ciudadanos. Le parole chiave sono state “formare il Governo”, ma alla fine dell’incontro del 4 novembre non si è fatto nessun passo avanti, anzi. Iglesias ha suggerito più volte che il Psoe “si accorderà con il Pp”, ma Casado non ha avuto alcun dubbio in merito e, rivolgendosi a Sánchez, ha ribadito: “Io le dico sin da ora che non mi accorderò con lei”.

Insomma, il leader del PSOE ha continuato a cercare di mantenersi in equilibrio nel corso di un dibattito che non ha trovato soluzione all’impasse sulla questione delle coalizioni necessarie per governare, rendendo la possibilità che anche queste elezioni si rivelino, sotto questo aspetto, “inutili”. Un risultato sempre più annunciato.

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