di Mgs. Lorena Tapia Núñez
(Console Generale dell’Ecuador a Milano)

In riferimento al post “Ecuador, il popolo si ribella e vince il primo round. Ma la lotta continuerà a lungo” a firma di Fabio Marcelli, pubblicato da ilfattoquotidiano.it il 15 ottobre 2019, nella Funzione e nella Qualità che ricopro ritengo doveroso, a tutela del governo che rappresento e nel superiore fine di offrire ai mie connazionali in Italia una informazione innanzitutto completa ma soprattutto veritiera, in modo da consentire loro di potersi formare una opinione meditata e ponderata sull’intera vicenda che ha suscitato così tanta sofferenza e preoccupazione in tutti noi, mi preme osservare quanto segue.

Nel post si afferma, in modo assurdamente apodittico, che il governo in carica abbia venduto l’Ecuador al FMI e che abbia abdicato alla propria autonomia e sovranità internazionale. Le affermazioni sono destituite di ogni fondamento e la riprova è data dal fatto che non vengono citati e indicati numeri e circostanze concrete ma semplice espressione di luoghi comuni e frasi fatte.

Il Presidente della Repubblica Lenin Moreno, fermi tutti i principi e i riferimenti culturali e politici che hanno caratterizzato la propria storia politica e quella del Partito con il quale ha vinto le ultime elezioni politiche, ha inteso fare una operazione di realismo politico-amministrativo. Infatti, proprio per difendere e proteggere le conquiste in termini di diritti sociali e civili ottenute nella più recente storia ecuadoriana, ha inteso mettere al sicuro il Paese, sotto il profilo dei conti pubblici. Il movente politico è quello testé indicato; le ragioni economiche delle scelte generali fatte tengono conto del quadro finanziario molto molto precario dell’intera America Latina e del sistema mondiale. Per questo un governo serio, che guarda all’interesse generale del proprio popolo e anche alle generazioni future, in momenti di grande difficoltà come quelli attuali, deve avere il coraggio di chiedere dei sacrifici a tutti. In proporzione delle risorse e delle possibilità di ciascuno. Sono con questo spirito solidaristico il sistema paese può reggere. Beninteso, se il sistema frana, frana per i poveri e meno abbienti. Chi ha possibilità economiche di vivere anche da solo in quanto autosufficiente, si salva. Proprio questo il Presidente Lenin Moreno, giocandosi tutto a livello personale, ha inteso fare: salvaguardare gli ultimi e i più bisognosi dal rischio di un futuro crack, dal quale non si sarebbero più rialzati.

In particolare sul carburante, la questione non era ristretta, come si è fatto credere, al solo costo. Sul carburante l’operazione era stata pensata, in modo più articolato, per contrapporsi al fenomeno del contrabbando e dell’illegalità associata legata al commercio del greggio e alla corruzione. Si è inteso guardare, nel post, ad un solo aspetto marginale della vicenda.

Inoltre, più in generale, l’elevazione dell’assistenzialismo a dogma assoluto è fuorviante. L’assistenza ai più bisognosi è un sacro diritto. E questo è l’intendimento anche del Presidente Moreno. Tuttavia, nel momento in cui i valori nominali superano certe soglie, l’assistenzialismo fine a se stesso, per un verso non spinge al lavoro ingenerando un fenomeno di appiattimento sociale che non può reggere in quanto non produce crescita; per altro verso, grava sulle casse dello Stato in modo insostenibile. Per questi motivi, crescita reale, lavoro reale, sostenibilità finanziaria, un Presidente serio chiede ai propri connazionali di collaborare per ricalibrare sussidi e sovvenzioni pubbliche. Affinché, i sussidi possano esserci. In caso contrario, non ci sarebbero risorse per il welfare state.

Ogni Stato, per far fronte proprio a questi bisogni, ovviamente agisce a debito. Ma prima o poi il conto arriva e si deve pagare. E lo si deve pagare nel modo meno invasivo per la popolazione e nel momento in cui tutto sia ancora possibile e concretamente realizzabile.

Sia chiaro: un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alle prossime generazioni.

E proprio su questo aspetto il post di cui al riferimento non coglie quanta strumentalizzazione vi sia stata in questa vicenda: politici che, per l’appunto guardando solo alle prossime elezioni, stando nell’ombra (mostrando anche poco coraggio), hanno pensato di muovere come pedine coloro che iniziavano a manifestare segni di sofferenza verso il famigerato Decreto 883. Così, senza alcun tipo di risultato, anche a Milano e in Italia in generale: sparuti ex politici, in veste (nascosta, anche qui) di capopopolo, hanno provato a fomentare i miei connazionali residenti in particolar modo nel Nord Italia senza alcun esito.

E qui la speculazione è ancor più bieca: perché si è cercato di spingere alla protesta coloro che, per la situazione difficile che vivono, sono i più deboli e le più facili prede.

Invece, proprio in quei giorni, il Consolato ha accelerato la propria agenda di attività programmate proprio per cercare, trovandola, la massima interlocuzione con i connazionali ecuadoriani, spiegando con correttezza e trasparenza i termini della vicenda, ma soprattutto coinvolgendoli nei progetti istituzionali a loro esclusivo interesse e per il loro esclusivo benessere.

Parallelamente, in Ecuador, il Presidente Moreno ha saputo ascoltare tutte le ragioni. Con il grande rammarico di veder messo a ferro e fuoco il paese da parte di una minoranza della popolazione. Il dialogo è il perno della democrazia. La strumentalizzazione dei bisogni è il perno della demagogia, che sfocia nella tirannia.

Ecco, dunque, che con queste premesse, anche i connazionali in Italia possono stare tranquilli perché lo Stato è al sicuro e può essere al loro fianco in questo percorso migratorio. Diversamente, come detto, sarebbe stato la fine di tutto.

Da ultimo, mi preme segnalare e stigmatizzare con forza la estrema scorrettezza delle affermazioni presenti nel post sopra indicato rivolte al Presidente allorché si fa riferimento ai propri genitori definendoli sciagurati. Di tanto l’autore del post si deve scusare formalmente. Inoltre i riferimenti a repressioni e ipotesi di persecuzioni giudiziarie, paragonando la vicenda ecuadoriana a quella di Bolsonaro, sono falsi. Il governo ha mantenuto l’ordine e la sicurezza pubblici, come in ogni democrazia a tutela di tutti. Gli atti vandalici sono atti criminali e come tali verranno trattati dalla Magistratura. Nessun processo politico. Solo processi nel rispetto della legge.

Il dialogo è sempre stata la guida dell’azione politica del governo. E la mistificazione dei dati ha esacerbato ed esasperato proprio chi è più in difficoltà, portandoli a scendere in piazza. Quando le ragioni di tutti sono state riportate ad una dimensione di verità, esattamente tutti ci si è collocati nella posizione da cui si era partiti e si è ripreso il dialogo e il cammino, come sopra indicato a proposito del nuovo decreto.

Tanto era dovuto, nel rispetto delle sensibilità di tutti, ma soprattutto a tutela del mio popolo nella madre patria e qui a Milano, e protezione del decoro e della reputazione del Presidente Moreno.

Le preoccupazioni della Console ecuadoriana sono del tutto ingiustificate. Infatti i cittadini dell’Ecuador presenti in Italia sono certamente più informati di me sulla natura dei provvedimenti adottati dal governo di Lenin Moreno e sulle loro disastrose conseguenze. Tali provvedimenti, evidentemente ispirati o per meglio dire richiesti dal Fondo monetario internazionale, hanno scatenato proteste generalizzate. A queste proteste il governo dell’Ecuador ha risposto con una brutale repressione indegna di un Paese democratico, testimoniata fra l’altro da filmati disponibili in rete in cui si vedono, ad esempio, giovani dimostranti che cadono da ponti alti una decina di metri su cui si trovano dei poliziotti o l’utilizzo di veri e propri cecchini. Di questo ovviamente la Console non parla. Un altro fatto inoppugnabile è che Moreno, eletto in continuità con Rafael Correa, ha operato una giravolta di centottanta gradi rispetto alla politica del suo predecessore, rinnegandone le scelte e ripristinando il neoliberismo e la subalternità ai centri di potere internazionale in Ecuador. Di questo i cittadini ecuadoriani saranno chiamati a giudicare nelle prossime elezioni (Fabio Marcelli)

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