Il carcere per i grandi evasori? “Potrebbe essere una misura ‘coerente’ solo in un sistema con effettività della pena, come quello statunitense”. E quindi “non nel nostro paese” dove “chi lede beni personali rilevanti spesso rimane in libertà e dunque un criterio di proporzionalità deve essere mantenuto nel rispetto dei valori della Carta costituzionale”. Parola di Sebastiano Ardita, già procuratore aggiunto di Messina e attualmente consigliere togato del Csm. Il magistrato ha spiegato all’Adnkronos il suo punto di vista sul provvedimento attualmente in discussione sul tavolo del governo che prevede il carcere per chi evade più di 100mila euro. “Se l’obiettivo reale è il contrasto all’evasione fiscale, la prospettiva del carcere, calata nel sistema penale italiano, non credo possa essere una soluzione”, dice Ardita.

Il motivo? “Il numero di evasori fiscali nel nostro paese si conta in milioni – dice il magistrato – ed anche se solo una frazione raggiungesse la soglia di punibilità, sarebbe impensabile che per essi possano aprirsi mai le porte di un penitenziario. L’unico effetto certo è la paralisi del sistema penale che verrebbe ingolfato da un fiume di processi che produrrebbero pene detentive teoriche: cioè sanzioni che rimangono sospese o devono essere convertite in misure alternative”. Questo perché come è noto – lo ha stabilito la Consulta in una recente setenza – il limite della pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione è stato fissato in quattro anni. Cosa vuol dire? Che chi ha una condanna inferiore non va in carcere. L’eventuale grande evasore, dunque, deve essere condannato a una pena più severa. La Costituzione, però, pone il principio della proporzionalità della condanna. Se il reato di rapina è punito con una pena che va dai quattro a dieci anni, un evasore dunqne deve essere condannato a una pena inferiore. Per questo motivo, secondo Ardita è molto difficile che un evasore finisca detenuto. Per questo motivo, continua il consigliere del Csm, “la misura più adatta in questi casi ed anche la più proficua per l’erario potrebbe essere la confisca, prevedendo magari un procedimento agile ed accelerato, che renda veloce l’apprensione delle somme sottratte al fisco”. Il problema è dunque la cosiddetta certezza della pena visto che tutte le condanne sotto i 4 anni non vengono scontate in carcere.

Quale è quindi la soluzione alla grande evasione? Per Ardita “in Italia si potrebbe considerare il carcere unicamente come rimedio per la grande criminalità finanziaria, specie quando quest’ultima si innesti nell’alveo della criminalità organizzata, ossia in un quadro nel quale il reato fiscale fa parte di un programma criminoso che prevede ruoli e partecipazioni per compiere una serie indeterminata di delitti per disarticolare una organizzazione, allora potrebbe avere un senso ricorrere alla misura detentiva. Ma mi riferisco a casi che non si rispecchiano nel fenomeno individuale e generalizzato al cui contrasto sembra ispirarsi la riforma”.

Per Luigi Di Maio, però, “il carcere per i grandi evasori è imprescindibile”. Un affermazione che secondo Ardita è ” solo un proposito”. “Penso che con la sensibilità che è presente nel nostro paese e col sistema di misure alternative, più sarà alto il numero dei processi e delle condanne più bassa sarà la percentuale di condannati che varcheranno la soglia di un carcere”. Commentando poi le parole del leader della Lega Matteo Salvini, secondo cui ”pensare alle manette per alcune decine di migliaia di euro è da fuori di testa. Sì al carcere ma non per i disperati”, il magistrato dice: “Penso che gli evasori sopra una soglia di reddito rilevante non sono sicuramente dei disperati”.

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