Scrivo questo articolo nella notte in cui tutto cambiò. La notte in cui ci svegliammo di soprassalto dai nostri letti perché le nostre case iniziarono a tremare. Era la notte di tre anni fa. Una notte di polvere e coperte, di automobili come riparo. La notte in cui la montagna ha ruggito.

Quella sera segnò il confine tra il prima e il dopo, segnò la traccia di un lungo sciame sismico che sconvolse il centro Italia e che toccò Visso a più riprese dal 24 agosto in poi, per inghiottirla del tutto qualche mese dopo. Fatale per Visso furono le scosse del 26 e del 30 ottobre che hanno segnato la fine di uno dei borghi più belli d’Italia.

Stanotte sono tre anni da quella notte. E come ogni anno mi trovo a scrivere di quanto Visso fosse bella attingendo dal mare dei miei ricordi. Mi ricordo, ad esempio, della piazza e dei vicoli storici e di come le case tutt’intorno l’abbracciassero. Mi ricordo le Torri medievali, che tracciavano la distanza per arrivare fin casa mia; mi ricordo del mercato settimanale, del Laghetto degli amori, del ponte Spagnolo per attraversare il fiume Nera e delle mie 37 candeline spente, una in più ogni anno fin da quando era piccola, sul terrazzo della mia bella casa.

Ma il mio viaggio nei ricordi non finisce qui, perché un paese è fatto di anime e persone e quella perla medievale incastonata tra i monti Sibillini custodiva molto più delle macerie che oggi conserva. Custodiva amicizie cresciute negli anni, tramandate da genitori in figli, vecchie abitudini fatte di incontri, routine, facce amiche.

Visso per noi di Roma custodiva l’estate, una lunga parentesi che iniziava con la fine della scuola e finiva col suo inizio ma anche l’autunno, con le lettere di chi tornava in città e le promesse di rivedersi presto. Visso custodiva anche l’inverno: le vacanze di Natale, la neve, l’8 dicembre e la conta di chi c’era e chi no.

Per tutti noi Visso era la certezza di ritrovare qualcuno, un posto sicuro che odorava di cicale e camino.

Sono trascorsi tre anni stanotte da quella notte e niente o molto poco è stato fatto. Visso, così come Ussita, Castel Sant’Angelo e le frazioni limitrofe sono tra zone le più colpite e la ricostruzione è ancora un miraggio. La gente è stipata nelle casette (i moduli abitativi), le macerie non sono state smaltite e la ricostruzione leggera non decolla, figuriamoci quella pesante.

Tornare a Visso significa abituarsi all’idea che non sarà più come prima. Non ci sarà la piazza, ad esempio, ma un cuore artificiale rimpiazzato altrove. Gli anziani sanno che non rivedranno più le loro case, molti giovani sono andati via, le famiglie con bambini si sono trasferite altrove per farli studiare dopo il crollo della scuola, i commercianti si sono arrangiati come potevano: per lo più da soli prima che un privato pensasse a loro. Già, perché Visso, inserita nelle guide tra i borghi più belli d’Italia, non è dimenticata da tutti ma dallo Stato, e se qualcuno resiste lo fa per non dargliela vinta.

Com’è Visso oggi potete leggerlo ovunque, ma com’era bella ve lo possiamo raccontare solo noi. Dopo quella notte di tre anni fa a Visso siamo tornati ogni anno e ogni anno torneremo. Aprendo gli occhi e abituandoci all’idea che sarà altro, poiché niente sarà più come prima.

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