“La Lega si è presa la responsabilità di far cadere un governo che aveva più del 51%”. Luigi Di Maio, entra come può in un gioco che evidentemente non sa condurre. Quello di scaricare sull’avversario colpe che quanto meno andrebbero equamente divise. Già, perché se Salvini ha rotto gli argini nella ricerca ad ogni costo del consenso popolare, il capo del M5s “fatica”. Se Salvini si presenta ai comizi calabresi con magliette che dimostrerebbero il suo amore per quelle terre, Di Maio sembra abbastanza fermo. Incapace di una qualche controffensiva che non risulti pateticamente costruita.

Il problema è che, per quanto ostentando una demagogia che molte volte risulta insopportabile, Salvini arriva alla resa dei conti con i ranghi serrati. Diversi osservatori gli addebitano una crisi di governo sbagliata nei tempi. Ma in ogni caso ora più che mai i sondaggi gli attribuiscono un gradimento in continua ascesa. A differenza di quel che invece accade per il suo ex alleato di governo. Sempre più in basso. Sempre più in sofferenza. D’altra parte le cifre sono impietose con Luigi Di Maio. Alle elezioni di marzo 2018 il Movimento ha raccolto oltre il 32% dei consensi sia alla Camera che al Senato, così da diventare il primo partito italiano. Un successo, incontrovertibile.

Mentre nella stessa competizione la Lega si è attestata oltre il 17%, dato superiore di circa un punto e mezzo rispetto al Pd. Ma il successo, si sa, va coltivato. Altrimenti non serve a nulla. Anzi, è deleterio. Così è accaduto quel che a marzo 2018 sembrava impossibile. A maggio 2018 le europee hanno sancito un ribaltamento di forze. Lega oltre il 34% e Movimento al 17%. Incredibile? Ovviamente, no. Perché, nonostante tutto, la politica è “una cosa seria”. Almeno dovrebbe esserlo. Parlarne è un conto, farla, un altro. Circostanza che l’accomuna per certi versi al calcio. Tutti allenatori e giocatori davanti alla tv. Un po’ meno sul campo. I boys grillini, che tanto entusiasmo hanno suscitato a partire dalla fondazione del Movimento e poi nel prosieguo delle diverse esperienze politiche, sia in ambito locale che nazionale, hanno pian piano perso smalto.

La politica di ascolto e di denuncia praticata sempre più capillarmente, dai piccoli centri alle grandi città, si è tramutata in incapacità. Innanzitutto incapacità di selezionare profili adeguati a svolgere ruolo impegnativi. Per questo motivo persone senza la necessaria preparazione politica, ed in alcuni casi neppure quella personale, sono stati catapultati su platee che non potevano occupare. In una escalation di errori che trova similitudini nella storia recente forse solo nella debacle di Renzi e del suo circolo di amici. Con una sostanziale diversità. Mentre ad affossare l’ex segretario piddino è stata l’arroganza, a Di Maio è mancata la capacità che deve avere un leader. Ovvero dettare la linea ed essere autorevole. In ogni caso questa situazione di generale inadeguatezza, che ha di fatto drammaticamente capolino in molti centri amministrati dal Movimento, è deflagrata in Parlamento.

Lì sono emersi inconsistenza politica e inadeguatezza anche culturale. Non di tutti, certo, ma di molti. Per come è andata, di troppi. Il Movimento è riuscito nell’impresa di farsi cannibalizzare dalla Lega. Snaturandosi su molti temi che ne avevano contraddistinto fin dagli inizi l’azione politica. Mancando di incisività. Scioccamente barattando il proprio appoggio a misure contrarie ai propri principi ispiratori, in cambio di una presenza nel Governo. Già perché il capovolgimento del consenso tra i due alleati di governo ha comportato anche questo.

Che la Lega da necessario sostegno si trasformasse in incontrastato protagonista. Molti sono stati i temi “storici” che il Movimento ha sostanzialmente abbandonato. A partire dal consumo di suolo, sul quale si discute da anni, senza però giungere ad una legge, nazionale. Passando per le energie alternative e rinnovabili, come l’idroelettrico, sul quale il movimento ha fatto marcia indietro, entrando addirittura in conflitto con i movimenti ambientalisti, a lungo al suo fianco. Ma forse un tema più di altri, indizia la scelleratezza grillina. Quello latamente culturale. Al ministero dei Beni e delle Attività culturali, espropriati della costola del turismo, ben poco è cambiato rispetto alla fase Franceschini. Quel poco che è stato fatto non sembra improntato ad un migliore funzionamento della gestione del patrimonio culturale. Né, tantomeno, alla valorizzazione delle risorse umane disponibili. Così si è aggiunto disordine a quel che già c’ era. Il Movimento, spaurito e sempre più debole, ha molte colpe. Ha rinnegato se stesso. Ha tradito la gran parte dei suoi (ex) elettori. Ma soprattutto ha lavorato, forse inconsciamente, per consegnare il Paese nuovamente ad un Matteo. Anche questo come quello smanioso di essere solo al comando.

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