Foto: Mario Gisoldi, Facebook

Nella foto di Campoli non c’è l’Italia che ci piace, c’è l’Italia e basta. Ché se c’è una cosa connaturata alla nostra patria identità, quella è l’ospitalità del popolo di mare, l’empatia verso gli altri del popolo dominato e creolo. Ogni stranezza sovranista, ogni sussulto nazionalista, è rigurgito relativamente nuovo, ignoranza della nostra storia che ha sempre inglobato.

Nella foto di Campoli non c’è da sorprendersi, c’è l’Italia e basta. Ché è naturale, per qualunque donna e qualunque uomo, qualunque nonna e qualunque mamma, stringere al petto la fame di un bimbo e cullarlo d’amore fino a saziarlo. Innaturale sarebbe l’opposto, rinnegare l’istinto per la folle idea che il colore sia una colpa, che il nostro sia migliore.

Nella foto di Campoli non c’è un simbolo, c’è l’Italia e basta. Ché sono convinto, praticamente certo, che di emblemi altrettanto forti di tre neonati neri custoditi da tre cuori bianchi il Paese sia pieno. Siamo pieni di bellezza, siamo pieni di buoni esempi. Siamo un popolo civile, siamo un popolo buono. Semmai siamo gente pigra, che lascia che una minoranza barbara alzi la voce e prenda coraggio fino a farci vergognare tutti.

Nella foto di Campoli non c’è ideologia, c’è l’Italia e basta. E se la bellezza sta negli occhi di chi guarda, lo stesso vale per la stranezza, per la critica, per la convinzione cieca, per l’odio. Date un bambino, qualunque sia l’origine sul documento, tra le braccia di un essere umano e ovunque sarà Campoli. Se ciò non succede, semplicemente non è umano. Né animale. E’ ferro, è ruggine, è inerme alla vita, è morto.

Nella foto di Campoli non ci sono sei persone, c’è l’Italia e basta. E con lei l’umanità tutta, che dei confini e dei permessi non ne sa niente. Semmai conosce la disperazione e l’affetto, l’arte del sorridere e la sincerità dell’abbracciare.

Nella foto di Campoli ci sono tutti coloro che avrebbero fatto lo stesso. C’è l’Italia vera, l’Italia intera.

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